Era stato ricattato, dopo aver pubblicato annunci sul web a sfondo sessuale, da un sedicente ispettore della Polizia postale, e aveva anche pagato 5.000 euro di ‘multa’ ma, dopo che quest’ultimo gli aveva paventato possibili ripercussioni sulla sua vita lavorativa, si è tolto la vita. È quanto emerso dall’indagine della Procura di Nuoro su un caso di truffe ed estorsioni via web, che oggi ha portato a 16 arresti. Il suicidio è avvenuto quattro mesi fa.
Erano stati i genitori della vittima a rivolgersi ai Carabinieri l’estate scorsa, dopo che il figlio, apparentemente senza problemi, si era suicidato. I due anziani, disperati, volevano far luce sulle ragioni che hanno portato il giovane a togliersi la vita. Da qui è partita l’indagine della Procura per truffe ed estorsioni sul web. I militari, dopo la denuncia dei due genitori, hanno dato inizio alle indagini e in pochi mesi sono riusciti a raccogliere una serie di elementi sui social forum della vittima, scoprendo che tutto è partito dopo che aveva pubblicato alcuni annunci nei siti di incontri.
I dettagli delle indagini
Contattavano inserzionisti dei più noti siti di annunci commerciali e di incontri, poi, dopo aver studiato la personalità dal loro profilo social, le vittime venivano sentite al telefono da un sedicente ispettore della Polizia postale di Roma, Marco Gigliotti. Infine venivano persuase dell’esistenza a proprio carico di una querela e per evitare che questa si trasformasse in reato, venivano invitate a pagare “sanzioni pecuniarie” tramite bonifici.
Questo il modus operandi della presunta associazione criminale, dedita alle truffe e alle estorsioni su internet, che operava prevalentemente nel Nord Italia, sgominata oggi: su richiesta del Pm Giorgio Bocciarelli, il tribunale di Nuoro ha emesso 16 ordinanze di custodia cautelare eseguite dai Carabinieri del Comando provinciale di Nuoro in collaborazione con i colleghi di Torino, Vercelli e Catania. Venti in tutto gli indagati, di cui 15 arrestati, un obbligo di dimora e quattro denunce a piede libero.
A capo dell’associazione c’era Simone Atzori, di origini sarde ma residente a Torino, che agiva insieme a Francesco Reina, 31enne pregiudicato di Catania anche lui residente a Torino, come spiegato in conferenza stampa dal tenente colonnello Franco Di Pietro e dal maggiore Gianluca Graziani. L’associazione aveva un giro d’affari di circa mille euro al giorno per oltre 600 truffe documentate, di cui 45 riuscite. Le vittime venivano indotte a pagare cifre che andavano dai tremila fino ai cinquemila euro, ma nel caso di un imprenditore piemontese anche di 20 mila euro. Ad Atzori viene contestata l’associazione a delinquere e una serie di altri reati. A carico di tutti gli indagati è stato disposto il sequestro conservativo di beni per 100 mila euro.