Una crudeltà senza precedenti, una violenza mai vista prima: la strage della famiglia Azzena a Tempio Pausania non ha precedenti nella storia del centro gallurese, cittadina tranquilla di quattordici mila abitanti ben poco avvezza all’assalto dei giornalisti di cronaca nera. Eppure basta tornare indietro di un decennio per riportare alla memoria un altro terribile omicidio che ha avuto teatro proprio a Tempio, in un palazzo che si trova a settecento metri da via Villa Marina dove sabato sono stati trovati i corpi senza vita di Giovanni Maria, Giulia e Pietro.
La notte del 26 ottobre del 2002 i coniugi Naddeo denunciarono la scomparsa della figlia ventiduenne Elisabetta, era uscita nel pomeriggio per acquistare un disco e non era più rientrata a casa. Poco dopo le cinque del mattino il suo cadavere sfigurato da nove coltellate e da una serie impietosa di colpi fu trovato, era nascosto in un magazzino di via Della Pineta. In pochi minuti il cerchio si chiuse attorno a Giuseppe, 24 anni, ragazzo di origine cilena adottato dalla famiglia Zanichelli: un giovane difficile, la testa e i modi di un bambino un po’ ombroso dentro un corpo imponente e fuori controllo.
Quel sabato sera Giuseppe si era avvicinato a Elisabetta, appena uscita da un negozio di musica dove aveva acquistato il cd “L’eccezione” di Carmen Consoli, e si era offerto di accompagnarla a casa probabilmente con una scusa, lei non lo temeva nonostante il giovane avesse alle spalle qualche denuncia per molestie e aggressioni ad altre donne. “Stai attenta, Giuseppe è pericoloso”, la avvisavano le amiche, ma lei aveva risposto di conoscerlo e di non aver paura di lui, lo salutava perché erano stati a scuola insieme e spesso scambiavano qualche chiacchiera. Mentre camminavano insieme, in un attimo Zanichelli si trasformò in una furia trascinando la ragazza dentro il magazzino della sua famiglia, le tolse i vestiti e la colpì, infine la uccise con nove coltellate infierendo sul suo corpo e sul suo viso con un piccone.
L’assassino ha confessato subito l’omicidio ma durante il processo non ha mai mostrato mai segni di compassione o pentimento: per lui dieci anni fa è arrivata la condanna definitiva a trent’anni di carcere.
Francesca Mulas