Sulcis in ginocchio: “La Tares non la pago: prima devo sfamare la mia famiglia”

Che la Tares facesse paura lo si era capito subito. Ad avere più paura della tassa comunale sui rifiuti e sui servizi, sono coloro che non possono far fronte a questo nuovo balzello fiscale. Sono cioè tutte quelle persone che fino a ieri erano contribuenti modello, per lo più lavoratori dipendenti, che hanno sempre pagato le imposte e che oggi si ritrovano, loro malgrado, a ricoprire il nuovo status sociale di cassaintegrato, lavoratore in mobilità o, peggio ancora, di disoccupato. Ed era scontato che la protesta montasse.

Sta avvenendo un po’ in tutti i centri dell’isola, dove la Tares fa sentire ancora di più la crisi economica che è diventata insostenibile. Lo si sta facendo con la raccolta di firme, davanti ai municipi (e pure occupandoli, com’è accaduto a Guspini), chiedendo che le stesse amministrazioni comunali si facciano portavoce della protesta e non semplici spettatori. E sembra che qualcosa si muova. L’Anci, l’associazione dei comuni italiani, sta preparando una grande manifestazione per i primi dell’anno a Roma, per protestare contro la Tares e contro il ruolo di esattore che il governo nazionale ha affibbiato ai comuni italiani. Ma bisogna fare dei distinguo, perché ogni territorio reagisce in modo diverso.

Alessandro e Adriano erano due operai e lavoravano nel polo di Portovesme. Le loro storie rappresentano le centinaia di altre storie che hanno un particolare in comune: tutti hanno perso il lavoro. Alessandro , 42 anni, di Carbonia, sposato, un figlio di 3 anni. Era un operaio interinale all’Alcoa. Ha lavorato per cinque lunghi anni sempre con contratti a termine. Sperava nel contratto definitivo, a tempo indeterminato, quello che ti dà sicurezza. Invece con la chiusura della fabbrica è arrivato il licenziamento. Un passato da orafo, ha girato in lungo e in largo l’Europa, facendo diverse esperienze lavorative. Poi la possibilità di rientrare nella “sua” Sardegna, pur rinunciando al suo lavoro di orafo. Oggi lo definisce il suo più grande errore. Come pagherà le nuove tasse? La risposta è serafica: “Ho già preso contatti con una ditta in un altro stato europeo. Andrò a lavorare all’estero, lascerò la mia terra, la mia casa, i parenti, con grande sofferenza, ma… La Tares non la pagherò, perché non posso pagarla e perché lo Stato mi ha completamente abbandonato”.

Adriano, anche lui operaio in un impresa dell’Alcoa, faceva il manutentore di impianti, sposato, due figli, attende, insieme a decine di suoi colleghi, la formalizzazione del licenziamento. La ditta per cui lavorava ha deciso di aprire la procedura di mobilità, “nonostante – dice – ci siano le trattative in corso per la cessione dello stabilimento Alcoa e quindi, al momento del riavvio degli impianti, serviranno le nostre professionalità. Invece niente, l’azienda è irremovibile”. Adriano è molto adirato. La sua situazione, al pari di quelle di tante altre famiglie, in particolare negli appalti Alcoa, non gli permetterà di onorare il balzello Tares e ammette: “Non la pagherò perché non ho i soldi per pagarla. I pochi soldi che mi sono rimasti servono per sfamare la mia famiglia. Dopo vengono le tasse per uno Stato che si è dimostrato incapace di difendere i suoi cittadini da una Europa che ci sta stritolando e che vuole comandare in casa nostra”. Un nuovo anno già bussa alla porta. E non porta niente di buono.

Carlo Martinelli

 

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share