Un giallo senza fine. La strage di Bologna avvenuta il 2 agosto del 1980 e che provocò la morte di 85 persone a distanza di trentanove anni è ancora avvolta nel mistero. Lo stesso vale per la sorte di una delle vittime, la sarda Maria Fresu. La donna, originaria di Nughedu San Nicolò perse la vita nell’attentato assieme alla piccola figlia Angela. Alcuni giorni fa i risultati dei test del Dna sui resti conservati nella bara attribuita alla donna hanno escluso che il corpo sia il suo. Oggi arriva una novità sicuramente non positiva per le ricerche: “Certamente per ritrovare le parti della povera Maria Fresu non ci sono soluzioni oggi praticabili”.
Lo scrivono nel supplemento di perizia esplosivistica, Danilo Coppe e Adolfo Gregori, nominati dalla Corte di assise di Bologna che sta processando Gilberto Cavallini per concorso strage. Secondo i periti è possibile che il volto ritrovato nella bara di Maria Fresu sia appartenuto a una delle sette vittime già conosciute. Gli esperti ricordano infatti che le analisi del Dna hanno stabilito che i resti esumati nel cimitero di Montespertoli (Firenze), in particolare una mano e una parte di volto con scalpo, non appartengono a Fresu, ma a due donne diverse. Per il volto i periti citano 7 vittime che hanno avuto danni al cranio, per la mano ne ipotizzano due. Inoltre ribadiscono che all’epoca le ricerche furono fatte con la foga di trovare i vivi e questo ha prodotto mescolamento di parti organiche. La mancanza della salma di Fresu è quindi spiegabile con la ripartizione di pezzi del suo corpo in altre bare.
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