Soldi dell’usura investiti in Sardegna: così gli strozzini facevano affari

C’è un filone sardo nell’inchiesta della Procura di Busto Arsizio che ha fatto finire in carcere due persone, mentre per altre tre sono scattati i domiciliari. L’accusa è usura: il gruppetto di presunti strozzini, secondo le verifiche risultate agli inquirenti, ha gestito un giro di prestiti di denaro con tassi d’interesse fino al 120 per cento.

In azione, su ordine della Procura varesina, la Guardia di finanza che ha riscontrato anche l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Questo con l’obiettivo di coprire gli incassi dell’usuta. Le indagini sono partite da alcune segnalazioni su movimenti bancari sospetti in materia di antiriciclaggio. Da l’ le intercettazioni telefoniche con le quali è stato ricostruita l’attività illecita: i cinque arrestati fungessero di fatto da “banca” per chiunque avesse “bisogno”.

Rispetto al gruppo di cinque, due ersano i capi e tre gli ‘esecutori. E quando i due vertici hanno scoperto che un imprenditore voleva denunciarli, lo hanno minacciato. Gli stessi due avrebbero emesso fatture false per oltre 6,2 milioni, utilizzando società intestate a prestanome. Agli indagati oggi sono stati sequestrati preventivamente 2,7 milioni di euro, tra conti, polizze assicurative e immobili. Tra gli investimenti fatti dagli strozzini anche case vacanza in Sardegna. Ma la banda dell’usura faceva compravendite pure in Lombardia e in Calabria. Nel patrimonio si contano inoltre auto di grossa cilindrata e licenze per l’esercizio di mercato ambulante.

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