Il 15 aprile di un anno fa, durante il primo lockdown e in piena pandemia, aveva soffiato sulle candeline per festeggiare cento anni. Tzia Lillina, come tutti la conoscono a Seulo, è scomparsa lunedì scorso all’età di 101 anni. Caterina Moi, il suo nome all’anagrafe, è stata la testimone di un secolo di storia del paese e di quel record che vede questo piccolo centro di montagna famoso nel mondo per essere il ‘paese dei centenari’ e inserito nella blue zone sarda.
La stessa storia familiare di ‘tzia Lillina’ è emblematica: nel 2017 aveva salutato suo marito quando lui aveva 103 anni, prima la mamma che di anni ne aveva 96 anni e le tre sorelle quando da poco avevano superato i 91.
Dalla sua sedia a dondolo di un appartamento della via principale di Seulo accoglieva turisti, star del cinema (Zac Efron per fare un nome) e studiosi curiosi di capire come potesse essere possibile vivere così a lungo (dal 1866 al 2020, 24 degli abitanti di Seulo hanno superato la soglia dei cento anni).
Una donna solare e dalla battuta sempre pronta. Anche quando nel 2020 incontrò l’inviato del nostro giornale. Ecco l’intervista pubblicata su SardiniaPost Magazine ad agosto:
Tzia Lillina, come trascorre le giornate?
Adesso le passo a casa perché non posso camminare molto. Prima leggevo di più, romanzi e giornali. Ora faccio l’uncinetto, cucino e parlo con tutte le persone che vengono a trovarmi.
Negli ultimi tempi sono venute a trovarla tante persone anche cantanti e attori famosi. Le piace stare con la gente?
Certo che mi piace, ci sono abituata. Quando ero piccola la porta di casa mia era sempre aperta. Vedevo le persone passare in strada, entravano e si fermavano a salutare. Era una vita diversa, il paese era più popolato, c’era sempre gente e quindi anche adesso sono contenta quando le persone vengono a trovarmi: mi piace trattenermi a parlare con loro.
La vita era meglio prima o adesso?
Seulo quando ero giovane era una paese povero. Non giravano tanti soldi, c’era il baratto e funzionava molto. Se dovevi comprare qualcosa scambiavi quello che avevi: ad esempio se facevi il falegname e ti serviva del formaggio realizzavi un oggetto, un mobile per dire, e lo scambiavi con una quantità di formaggio dello stesso valore. Adesso ci sono tante comodità, forse è meglio adesso.
Si ricorda la guerra?
La Seconda. Ero a Cagliari, mi trovavo in ospedale per curare un problema alla mano. Dormivo a casa di un compaesano che mia aveva ospitato. Ricordo i bombardamenti, quella volta mi sono spaventata davvero. Fortunatamente non mi è successo nulla.
C’è qualcosa che in questi anni l’ha impressionata?
(Ride). La televisione. Ricordo quando è arrivata in paese. La prima volta l’ho vista in un bar. Era appesa all’ingresso e mentre camminavo in strada ho visto quell’affare dalla vetrina. Mi sono avvicinata e ho visto sullo schermo tanti serpenti. Io e altre persone ci siamo spaventate, avevamo paura che ci inseguissero e siamo scappate.
Cosa ha fatto per tutta la vita?
Io non ho fatto un lavoro, ne ho fatti tanti. Ho passato tutta la vita a essere impegnata perché c’era sempre qualcosa da fare: ho zappato in campagna, ho anche tagliato legname e spesso cucinato durante i pranzi di matrimonio.
A proposito, cosa si mangiava a Seulo?
Abbiamo sempre mangiato quello che il paese produceva. Il piatto che si cucinava di più era il minestrone. Aveva patate, il formaggio tipico ‘su casu de murgia’ che è salato e quindi insaporisce la minestra, fagiolini e a volte si aggiungeva anche la carne di maiale. Si mangiava pane e poca carne, quella una volta alla settimana. L’olio d’oliva lo usavamo poco perché in paese non si produceva, al contrario usavamo lo strutto e l’olio lo scambiavamo: un litro valeva due chili di formaggio.
Il menù della longevità insomma.
Ah no guardi, il mio segreto è il tempo. Finché vuole ci sono.
Andrea Deidda
andrea.deidda@sardiniapost.it