Serge Latouche, filosofo ed economista francese, uno dei massimi esponenti e teorici della ‘decrescita felice‘ (la filosofia di vita che propone il graduale affrancamento dalla società del consumo di materie prime del pianeta) ha aperto ieri il Festival di Marrubiu “AlberiLibri”. L’abbiamo incontrato al termine del suo incontro col pubblico sul tema ‘Obsolescenza programmata’ dei beni di consumo, cioè sulla programmazione a termine, per aumentare i profitti, di prodotti che creano enormi quantità di rifiuti difficili da smaltire.
Professor Latouche, la Sardegna vive una crisi drammatica. Per esempio, il Pil è inferiore ai costi degli ammortizzatori sociali. L’Isola vive già da tempo una ‘decrescita infelice’. Come si può passare a una ‘decrescita felice?’
“È chiaro che dobbiamo uscire fuori dall’incubo della situazione attuale. Ma una buona notizia per gli amici sardi è che il vostro problema non è ‘solo’ vostro, ma è il problema di tutta l’Italia, e di quasi tutta l’Europa. È il fallimento non solo del modello sardo, ma è il fallimento del modello dell’Occidente. Che è diventato obsoleto, perché basato solamente sull’energia gratuita, illimitata. E il petrolio è finito”.
Quale ricetta allora?
“Pensare ad un altro modello. Si deve rilocalizzare, e ‘demondializzare’ rispetto al modello della globalizzazione nel quale viviamo”.
Ma come, con quali tempi?
“Attraverso l’uso del risparmio, per esempio. Il risparmio sardo dovrebbe servire a rifinanziare l’attività sarda. Creare posti di lavoro in Sardegna, non in Germania, né negli Stati Uniti o in Cina. La soluzione teorica è molto facile. La soluzione pratica, invece, è una sfida al limite dell’impossibile. Le cose che si possono fare sono talmente limitate che è perfino scoraggiante. In primo luogo bisogna recuperare la ‘resilienza‘. Un termine che sarà molto in voga d’ora in poi. Indica la capacità di un corpo fisico di ritrovare il suo stato iniziale dopo aver subito un forte shock. Lo stesso accade per un ecosistema, e per l’uomo, che opera in quell’ecosistema. I tempi dipenderanno dall’uomo e dalla sua capacità, appunto, di resilienza“.
Quali sono le prime azioni da compiere?
“A livello locale, per esempio, dalla provincia alla regione, dalla nazione al continente, superare lo shock della crisi dipenderà dalla nostra capacità di modificare il nostro comportamento. Riorganizzare i nostri habitat per recuperare l’autonomia energetica, per sviluppare l’autonomia alimentare, il potersi comprare il cibo dal vicino. Rilocalizzare e proteggersi dalla concorrenza. In secondo luogo,dalla capacità di resistere”.
Ci può fare degli esempi?
“Per esempio ‘riparando’ i prodotti già acquistati, piuttosto che cedere alla tentazione del mercato che vorrebbe che se ne comprassero di nuovi. Si devono incoraggiare queste iniziative. Si dovrebbe mettere in atto l’idea che ha avuto Padre Alex Zanotelli, quella cioè di costituire la ‘Rete di Lilliput’ per contrastare il sistema accordandosi tra pari nel piccolo: agricoltura biologica, o cooperative di consumo ecc…Si deve cercare di creare dei ‘legami’ per fare delle oasi in cui poter sopravvivere, e poi provare ad attraversare il deserto. Superare così gli ostacoli a tutti i livelli: quello nazionale, burocratico o giuridico. Ma la prima cosa da fare è bloccare l’emorragia di posti di lavoro. Fermare questa distruzione, per poi recuperare e riconvertire l’esistente. Non sul modello della Fiat, ma su quello delle piccole imprese. Sarà dura ma si deve resistere”.
Lei è ottimista?
“Non direi. Mi comporto piuttosto come il vostro Gramsci. Adopero il pessimismo della ragione, e l’ottimismo della volontà”.
Davide Fara