Vivono nella regione italiana con la più alta dispersione scolastica, non possono fare i pendolari a causa dell’insularità e fanno parte della più grande minoranza linguistica. Nonostante le loro fondate ragioni, per gli insegnanti sardi è giunta l’ora di varcare il Tirreno e prendere possesso delle proprie cattedre in una tra le cento province d’Italia che hanno indicato come destinazione preferita. Sono 1.700 su quattromila che avrebbero avuto diritto, ma la maggior parte di loro ha rinunciato, compresi i vincitori di concorso, che avrebbero avuto a una cattedra in provincia. Oggi si sono riuniti in assemblea nella sede sassarese della Cgil. Le chiamate dei docenti sardi partiranno giovedì, e loro non si arrendono, portano avanti la loro battaglia e dichiarano apertamente di sentirsi sotto ricatto. Al di là delle critiche per il governo e il provvedimento che li costringerà a lavorare lontano da casa, oggi la loro rabbia è tutta per la Regione. “Non hanno alcun riferimento politico, né si sono attivati in alcun modo – dicono gli insegnanti – altre Regioni hanno fatto ricorso alla Corte costituzionale, la Sardegna non ha chiesto neanche una cattedra in deroga”.
“Per i docenti sardi dobbiamo ottenere una risposta adeguata alle loro richieste per assicurare con la loro stabilizzazione una scuola efficiente per la formazione culturale dei nostri ragazzi e dei nostri giovani. In tal modo non ci potranno più esserci alibi per nessuno”, lo afferma il segretario dell’Unione Popolare Cristiana (Upc) Antonio Satta. “Un docente sardo costretto a trasferirsi deve sostenere costi nettamente superiore rispetto a un docente di un’altra regione – continua Satta -. La nostra insularità deve essere considerata, e dunque un docente sardo deve essere messo in condizione di lavorare nella sua regione”.