Sanità, al Brotzu porte aperte ai parenti anche in Rianimazione

Rivoluzione all’ospedale Brotzu: fine dell’isolamento dei pazienti dai familiari, per la prima volta porte aperte ai parenti anche in Rianimazione. È l’unico caso in Sardegna ed è una delle poche esperienza italiane che va in questa direzione: soltanto il 2-3 percento dei nosocomi in Italia consente le visite nel più delicato dei reparti. La svolta è stata presentata oggi nella sala Ciccu della struttura sanitaria di via Peretti a Cagliari. Si comincia dalle 13 alle 21. Ma l’obiettivo – ha spiegato il direttore sanitario Vinicio Atzeni – è molto più ambizioso: tenere aperto il reparto ventiquattro ore su ventiquattro.

“È una novità – ha detto Atzeni – che rientra nel quadro della umanizzazione delle cure. Con il paziente sempre più al centro del percorso. Ma è una strada che abbiano già intrapreso in altri settori, dalle nascite al pronto soccorso”. Un rinnovamento culturale. Con una rifondazione organizzativa: “Puntiamo su un ospedale sempre più aperto a parenti e associazioni – ha precisato- convinti che è utile per tutti che il paziente si trovi in un ambiente favorevole”. Anche perché, ha sottolineato il Tribunale del malato, Rianimazione è uno dei reparti in cui il parente spesso arriva sconvolto, incapace quasi di chiedere e ricevere informazioni. Come dire: le porte aperto aumenteranno sicuramente le possibilità di corretta comunicazione.

Il Brotzu sta lavorando da un anno a questo progetto. Con tanto di percorso di formazione a Torino dove l’esperienza, al San Giovanni Bosco, è consolidata da oltre dieci anni. “Un cambiamento culturale – ha sottolineato Maria Emilia Marcello, direttrice di Terapia intensiva- che coinvolge medici, infermieri e operatori sanitari. Una scelta non facile, ma la letteratura scientifica ci ha ormai dimostrato che non esiste nessuna motivazione valida per tenere le porte chiuse”. In passato la chiusura era giustificata dalla necessità di proteggere i pazienti dai “pericoli” provenienti dall’esterno. Ma ora studi e ricerche hanno spiegato che forse i benefici della presenza dei parenti in reparto superano gli eventuali problemi.

Il direttore della terapia intensiva del San Giovanni Bosco di Torino Sergio Livigni ha sottolineato la bontà della svolta: “Un cambiamento radicale, ma quando si fa una scelta del genere significa che dietro c’è una interpretazione chiara di quello che si vuole fare”.

 

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