La Corte europea dei diritti umani bacchetta l’Italia sul caso del sangue infetto. Al centro ci sono 800 malati italiani (i casi denunciati furono però migliaia), con moltissimi talassemici sardi coinvolti nello scandalo delle trasfusioni col sangue non controllato, a partire dagli anni ’70. Le vittime furono soprattutto malati di anemia mediterranea ed emofiliaci che hanno bisogno di cure continue, al tempo molti i bambini. Così, con una trasfusione, furono infettati da vari virus Hiv ed epatite B e C.
Una vicenda umana e giudiziaria dai tempi biblici, appunto. E la Corte di Strasburgo si è proprio pronunciata, con una condanna, sui tempi lunghi della procedura transattiva avviata nel 2007, in violazione dell’articolo 6 della Convenzione sull'”equo processo”. Ma solo una minima parte dei ricorsi sono stati ammessi.
Solo l’anno scorso in Italia si è arrivati a una proposta del risarcimento, inserita nella riforma Madia: 100mila euro a testa. Otto le categorie in cui sono stati divisi i beneficiari, o gli eredi. Il pagamento procede a scaglioni ed è ancora in corso.
Per il ministero della Salute del governo Renzi si tratta di un'”equa riparazione” e un “adeguato ristoro”. Confermato, si afferma in una nota, anche dalla stessa Corte.
L’accusa sullo scandalo, a carico delle case farmaceutiche, fu di aver immesso nel circuito sacche di sangue ed emoderivati prelevati a soggetti a rischio. Di fatto non controllati dal Sevizio sanitario nazionale. Anche, per via di alcune tangenti, riconducibili al filone di “Mani pulite”. Tra gli indagati l’allora direttore del servizio farmaceutico del ministero della Sanità, Duilio Poggiolini, insieme ad altre dieci persone. (mo. me.)