La Sardegna come il Vietnam: napalm ovunque per stanare i nemici. Laggiù erano i Vietcong, di qua i banditi nascosti nel Supramonte, dove non fossero arrivati i militari ci avrebbe pensato il gas. Non sono i deliri di qualche fanatico o le inquietanti fantasie di uno scrittore ma le parole di un giornalista italiano, editorialista per il Corriere della Sera e altri periodici comparse sulla stampa appena qualche decennio fa.
Erano gli anni Sessanta, gli anni del banditismo sardo, delle clamorose evasioni di Graziano Mesina, degli scontri sanguinosi tra latitanti e forze dell’ordine. Allora Augusto Guerriero, giornalista campano di grande notorietà, scriveva sulla terza pagina del Corriere e firmava articoli su Epoca, Oggi, Il Tempo.
Proprio su Epoca, settimanale di informazione che Mondadori ha pubblicato fino al 1997, Guerriero scriveva: “In Sardegna bisogna fare una vera e propria spedizione militare. Le zone impervie delle montagne devono essere vietate ai civili; si deve sparare a vista contro chiunque vi sia sorpreso. Una volta che la zona sia stata evacuata dai civili, si possono usare anche le armi che in guerra sono vietate dal diritto internazionale. Non si riesce a scovare i banditi ed i loro amici? Ebbene si scovino con i gas!”. L’articolo usciva nel 1969, le parole di Guerriero e altri trovavano facilmente spazio senza censura sui quotidiani italiani perché la Sardegna era guardata con sospetto quando non con disprezzo: agli occhi di tanti ‘continentali’ non c’era molta differenza tra banditi latitanti o pastori sardi.
Negli stessi anni, mentre era in corso il dibattito sulla criminalità in Sardegna, la Rivista dell’Arma dei Carabinieri pubblicava due articoli, uno nel 1967 e uno nel 1969, con soluzioni estreme contro i banditi: “Si adoperino gli stessi mezzi del maresciallo Graziani contro i ribelli in Cirenaica”, e “Vogliamo che nelle battute delle foreste del Supramonte si usino i lanciafiamme. si seguano razionali sistemi di caccia con squadriglie armate di mortai e di armi automatiche, come facevano i Tedeschi negli Appennini contro i partigiani”.
L’odio e le discriminazioni proseguirono anche negli anni successivi: nel 1979, ancora in periodo di sequestri, comparvero nel Senese graffiti minacciosi: ” Sardi tornate nel Sardistan”. Nel 1981 altre scritte sui muri, questa volta a Firenze: “Sardi, tornatevene a casa”. Il corrispondente del Corriere della Sera Alberto Pinna parlò di una vera ‘caccia ai Sardi’ in Toscana. E qualcuno propose pure di applicare le severe leggi antimafia per controllare gli isolani residenti in Toscana.
“Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse realmente usato lanciafiamme e napalm per ‘stanare’ banditi o presunti tali dalle foreste sarde?” Se lo chiede il lettore che ci ha inviato una mail con le citazioni di cui sopra: 68 anni, barbaricino, a casa conserva un grande archivio con quotidiani e periodici di quel periodo. Preferisce non essere citato con nome e cognome ma ricorda benissimo l’odio verso i Sardi di quegli anni: “Tra il 1969 e il ’73 sono stato a Milano per studiare all’Università Statale: in giro c’era tanta diffidenza verso i Meridionali e i Sardi in particolare. Gente da guardare con sospetto, tanto che i proprietari degli immobili da affittare appendevano cartelli con scritto ‘Non vogliamo meridionali’. Siamo stati anche noi emarginati e disprezzati, non troppo tempo fa. Chi oggi invoca muri e barriere contro i migranti, quando non invita alla violenza, ha la memoria molto corta”.
Francesca Mulas