Processo Dore, il sopralluogo nel “garage della morte”

Giubbotto in pelle nero, mani in tasca, volto scurissimo: Francesco Rocca scortato dagli agenti di Polizia Penitenziaria, torna dopo oltre un anno dall’arresto nel suo paese natale, a Gavoi. Rocca, accusato di essere il mandante dell’omicidio di sua moglie Dina Dore, torna a rivivere l’orrore di quella terribile sera del 26 marzo 2008, quando la povera Dina è stata barbaramente ammazzata davanti agli occhi impauriti della piccola Elisabetta nel garage di casa.

La corte d’Assise di Nuoro si è trasferita stamattina a Gavoi per ripercorrere le tappe cruciali di quella tragica serata, quando nella casa del dentista Francesco Rocca, in via Sant’Antioco 64, avveniva il macabro omicidio. Il presidente della corte, Antonino Demuro, ha disposto il sopralluogo a Gavoi, per permettere ai giudici e alle parti di vedere dal vivo i luoghi rievocati nel processo dai testi. Con Antonino Demuro erano presenti il giudice a latere Manuela Anzani, il Pm Danilo Tronci, i giudici popolari e infine gli avvocati di parte civile (Mariano Delogu e Giovanni Congiu) e i colleghi della difesa (Mario Lai e Angelo Manconi) che hanno iniziato il percorso partendo proprio dal numero civico 64 di via Sant’Antioco.

L’autorimessa dove è avvenuto l’omicidio è stata profondamente modificata, perché la casa dei Rocca nel frattempo è stata venduta al nuovo proprietario: il cugino di Pierpaolo Contu presunto esecutore materiale del delitto. Ma i giudici e le parti (coadiuvati dalla Polizia scientifica nella comparazione degli ambienti teatro dell’omicidio) una volta giunti sul posto, hanno voluto verificare il funzionamento della serranda e dei lampeggianti, per comparare il contenuto delle deposizioni dei vari testi, che quella sera sono passati davanti a casa Rocca. Sono state misurate le distanze che intercorrono tra la macchina che la povera Dina aveva appena parcheggiato quella sera e il luogo di ritrovamento della borsetta della donna, oggetto di colluttazione tra vittima e carnefici.

Graziella Dore sorella di Dina era visibilmente provata, dall’ulteriore sopralluogo nel “garage della morte”, tanto da non essersi voluta avvicinare a quei luoghi. Con Graziella c’era l’altro fratello di Dina, Giuseppe. Presenti al sopralluogo anche le due sorelle di Francesco Rocca, Paola e Anna e qualche amico del dentista. La visita del collegio dei giudici e delle parti, è proseguita in via Sant’antico e nel vico Sant’antioco in cui abitano diversi testi del processo, per poi arrivare in via Carlo Alberto dove un bambino quella sera avrebbe visto scappare un uomo dal viso trafugato. Dunque la discesa nel vicoletto dove abita Francesca Orrù, che la sera del delitto era uscita di casa per andare nella piazza Sant’Antioco ad attingere l’acqua, qualche metro poco più su di casa sua e ad appena 150 metri dal luogo del delitto.

La 36enne Francesca Orrù qualche settimana fa aveva rilasciato una dichiarazione nuova alla corte, rispetto alle deposizioni precedenti rese agli inquirenti: aveva raccontato che quella sera alle 19, mentre attingeva l’acqua aveva sentito come un fruscio provenire dalla parte posteriore di un furgoncino parcheggiato lì vicino ma, essendo buio pesto, non era riuscita a vedere la sagoma della persona che si nascondeva lì dietro. Quella sagoma notata dalla testimone ad appena 150 metri dal luogo del delitto, alle 19 quando Dina Dore secondo la ricostruzione del medico legale era già morta, potrebbe essere stata quella dell’assassino. La circostanza rilevante in quella deposizione di Francesca Orrù era stata che in quel momento di paura le cadde di mano la busta di plastica dove aveva riposto una damigiana, che si ruppe. La teste ha raccontato ai giudici che solo pochi giorni prima le era tornato alla mente quel fatto, che le era stato ricordato da un’amica durante una conversazione. Sorprendendola. Infatti come poteva sapere l’amica dell’incidente della damigiana? La risposta era stata raggelante: “Me lo ha riferito Francesco Rocca” le aveva risposto. Facendo capire che Francesco Rocca sapesse di quel fuggiasco che poteva essere l’assassino.

Dopo la tappa nella fontana la corte ha affrontato la discesa in via Roma passando per il vicolo dove si trovava il bar Barbagia, che ora è stato venduto. Quel bar è un luogo molto importante per il processo, perché è il luogo che il presunto assassino Pierpaolo Contu ha indicato come alibi: il giovane ha dichiarato infatti di essere stato lì la sera del delitto, in compagnia di Giuseppe Dore il fratello di Dina. Infine l’arrivo in via Roma, nel punto in cui la sera del delitto è stato rinvenuto il rotolo del nastro adesivo usato per imbavagliare la povera Dina. Tutti i luoghi visitati dal collegio dei giudici e dalle parti sono stati transennati. Pochissimi i gavoesi presenti al sopralluogo. Nessuno dei testi del processo ha voluto presenziare alla visita dei giudici.

Un processo, quello per l’omicidio di Dina Dore, reso difficile dai troppi testi reticenti: testi che affermano di essere passati davanti a casa Rocca tra le 18, 30 e le 19, quella sera del 26 marzo 2008, ma senza che nessuno abbia visto niente. Testimoni reticenti fino al punto che il Pm Danilo Tronci ha rimandato diversi di loro all’autorità giudiziaria per capire se ci sono gli estremi di una condanna per falsa testimonianza. Domani sarà una giornata molto importante per il processo sull’omicidio di Dina Dore, la cui memoria da troppi anni attende giustizia: è attesa infatti in serata la sentenza dei giudici del tribunale dei minori di Sassari nei confronti di Pierpaolo Contu, il presunto assassino di Dina Dore, che all’epoca dei fatti era minorenne. Mentre il processo contro Francesco Rocca tornerà nella corte d’Assise di Nuoro il 16 gennaio e proseguirà il 24 e il 31 dello stesso mese.

Maria Giovanna Fossati

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