Parole dure e drammatiche quelle pronunciate in aula stamane dall’ex amante, nonché assistente dello studio dentistico di Francesco Rocca accusato di essere il mandante dell’omicidio di Dina Dore avvenuto a Gavoi il 26 marzo 2008. “Io ti amo da sempre. Di lei non mi è mai fregato niente, meritava la fine che ha fatto”. Parole che Francesco Rocca avrebbe pronunciato nei confronti di Anna Guiso dopo l’omicidio di sua moglie Dina Dore. Una deposizione fiume quella dell’ex amante che è durata oltre due ore, tra ricostruzioni dei fatti e forti momenti di imbarazzo. Tra Rocca e Guiso, entrambi presenti in aula, a pochissima distanza mai nemmeno uno sguardo.
L’ex amante. Ad impegnare la maggior parte del tempo dell’udienza di stamattina, l’undicesima, è stato il racconto di Anna Guiso, oggi 27enne, che ha parlato il rapporto con il suo ex datore di lavoro ed ex amante all’epoca dell’omicidio. A partire dalle avance del dentista nell’estate 2006, dopo che la ragazza inizia a lavorare per il dottor Rocca, quando prende il posto di Dina Dore che è andata in maternità. “È stata la stessa Dina prima di partorire a introdurmi nello studio e a insegnarmi i primi rudimenti del mestiere. All’epoca ero fidanzata con Antonio Piu. La storia tra me e Francesco nasce quasi per gioco: occhiate, sms, telefonate. Io vivevo un momento difficile e ci sono cascata ma non era mia intenzione mettermi con un uomo sposato. Lui mi chiamava insistentemente, mi raccontava che era pieno di amanti (tra cui Adriana Manca la supertestimone, ndr) e che quella con me era una relazione leggera. Prima dell’omicidio di Dina avevamo avuto qualche rapporto sessuale squallido e frettoloso in studio, la cosa seria tra noi due sarebbe iniziata dopo la morte di Dina”.
Il giorno del delitto. Anna Guiso ha ricostruito poi la sua giornata, quando è successo il delitto: “Dopo pranzo sono partita al lavoro, verso lo studio di Nuoro, con la Bmw di Francesco, con noi c’era anche Adriana Manca (la supertestimone del processo, ndr) che doveva fare delle cure dentarie. Abbiamo lavorato fino alle 19,30, poi siamo ripartiti per Gavoi di nuovo tutti e tre insieme. Della morte di Dina, mi ha informato Francesco mezz’ora dopo che ero rientrata a casa. Mi sono precipitata in via Sant’Antioco”. Impaurita dagli eventi Anna Guiso, un mese dopo l’omicidio di Dina, quando deve riprendere a lavorare, non vuole più tornare in ambulatorio. “Poi l’ho fatto perché mi sono sentita in dovere di stare vicino a Francesco, anche perché la sorella Anna me lo chiedeva espressamente. In quel periodo lui parlava malissimo di Dina e dei suoi parenti. Quando gli chiedevo se avesse qualche sospetto sull’eventuale assassino, mi parlava di Gavino Piras. E poi mi ricordo pure che qualche giorno prima che morisse Dina, mi aveva detto che aveva visto una macchina sospetta vicino a casa sua. Mi è sembrato come se Francesco mi volesse preparare a ciò che sarebbe successo dopo”. Parole pesanti queste di Anna Guiso, ma cosa insinuava con questa precisazione? Sarà compito dei giudici cercare di analizzare la ricostruzione nella prossima udienza del 13 febbraio, in cui dovrà ancora deporre. Infine l’epilogo della storia e del rapporto di lavoro. “Per un anno la nostra storia è andata avanti, ma poi mi sentivo oppressa e ad agosto 2009 mi sono licenziata”. Ed è lì che per Anna Guiso inizierà lo stalking dell’uomo, per pregarla di ritornare insieme: “Mi ritrovavo Francesco ovunque. Mi pedinava, mi mandava sms e bigliettini minacciosi. Quando mi vedeva sputava e mi faceva il gesto del dito in gola, qualche volta mi ha minacciato con la pistola. Avevo paura che mi uccidesse”.
L’altro testimone e l’uomo mascherato. Ma prima di lei nel banco dei testimoni è salito l’adolescente, che all’epoca dei fatti aveva otto anni, e che la sera dell’omicidio di Dina Dore ha visto scappare un individuo incappucciato, probabilmente uno degli assassini. “Ero nel cortile di mia zia in via Carlo Alberto attendevo che lei scendesse perché ci doveva accompagnare in palestra insieme a mio cugino” inizia così la testimonianza del ragazzo, oggi 14enne. “Mentre giocavo in cortile, ho visto qualcuno che saliva verso su con la testa nera e le mani nere. Era incappucciato (forse aveva un passamontagna), aveva i pantaloni larghi con i tasconi laterali, il giubbotto nero. Non ero vicinissimo a lui ma l’ho intravisto mentre percorreva quel tratto di strada che si poteva vedere dal cortile: ansimava, probabilmente aveva percorso la salita a passo veloce ma stanco, come se scappasse. Ricordo che era più basso di mio padre (alto 1,75) e più alto di mia madre. Impaurito corsi in casa da mia zia per raccontarglielo. Dopo qualche giorno, quando ho saputo che cosa è successo la mia paura aumentava e di questo in famiglia non abbiamo più parlato”.
La zia riferisce le parole del bambino alla madre del ragazzo, la quale, dopo aver appreso della morte di Dina, renderà testimonianza alle forze dell’ordine, ma prima ancora racconterà l’episodio a Francesco Rocca, con l’intento di dare una mano per le indagini. Sono circa le 18,50, quando il ragazzo vede l’individuo, un orario compatibile con l’orario di morte della povera Dina, stabilito dai periti. Il racconto del ragazzo è compatibile anche con quello di un’altra testimonianza: quella di Francesca Orrù che quella sera si trovava nei pressi di piazza Sant’Antioco: era alla fontana ad attingere l’acqua quando anche lei avrebbe visto “come un’ombra che scappava” e dalla paura ha rotto una damigiana di vetro. Anche Francesca Orrù, a quell’ora, si trovava nella parte alta del paese, sopra la via Sant’Antioco dove è stato compiuto il delitto di Dina Dore. La testimonianza drammatica di Anna Guiso, assistente di studio ed ex amante di Rocca.
Maria Giovanna Fossati