Omicidio a Bologna, Paolo Fresu: “La mia Berchidda scossa nel profondo”.

Paolo Fresu racconta di un paese, il suo, non solo turbato, ma “scosso in profondità”. Berchidda è un piccolo centro della provincia di Olbia-Tempio, tremila abitanti, si conoscono tutti. Unito, ma allo stesso tempo aperto al mondo e conosciuto anche grazie al festival ‘Time in Jazz’ che il trombettista ha ideato e che ogni anno attira centinaia di appassionati. Adesso la gente è “provata” dalla notizia di un berchiddese in carcere a Sassari, accusato di aver ucciso la compagna a Bologna e di averne nascosto il corpo in un freezer a pozzetto. Fresu, che tra l’altro frequenta e ha casa a Bologna, è appena tornato nell’isola dopo un concerto ad Amburgo. Non conosce Giulio Caria, il trentaquattrenne rintracciato e fermato sabato scorso proprio in Sardegna: “Credo che sia partito da qui da diversi anni – dice – e so che la sua è una famiglia normale, rispettabilissima, dei gran lavoratori. Di certo nessuno poteva immaginarsi una cosa del genere, un delitto così efferato, sempre che sia lui il colpevole”. Anche perché Berchidda “é uno dei pochi posti della Sardegna dove, per dire, non c’è stato l’abigeato, qui i pastori non dormono in campagna, è un paese coeso dove non c’è bisogno di nascondere nulla. E allora ancora di più un fatto come questo fa sì che gli abitanti si chiedano il perché e non sanno darsi una risposta. Siamo tutti toccati da un avvenimento che non fa parte del nostro repertorio”. Fresu parla di una “lotta”, che attraversa i suoi concittadini, obbligati loro malgrado, a fare i conti con la vicenda: “Anche una piccola realtà come questa, che è abituata a leggere cose di questo tipo solo sui giornali, si trova a confronto con qualcosa di più vasto, a trovare in sé una parte della società che è profondamente malata”. Questa è anche l’occasione per tornare ad un tema importante come la lotta alla violenza nei confronti delle donne, un tema per cui Fresu si è pubblicamente schierato: “E’ necessario acquisire una coscienza nuova, è preoccupante che le persone che subiscono violenze si tengano tutto dentro”. Purtroppo, “sembra esserci un’accelerazione, forse queste cose accadono perché le persone sono meno rilassate di un tempo, tendono a sfogare tutto nel piccolo teatro degli affetti”. Per Fresu, ovviamente, è difficile immaginare spiegazioni per un gesto come quello imputato a Caria. In generale, osserva, “di fronte a situazioni così ci si chiede come mai prima non c’é stato modo di agire, pur tutelando la libertà di ciascuno, per evitare che si arrivasse ad una conclusione così drastica”.

Tommaso Romanin (ANSA)

(Foto di Anna Marceddu)

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