Un cuore enorme che pulsa intorno alle macerie. La macchina della solidarietà ha le facce di studenti, pensionati, insegnanti, operai. La Protezione civile e l’esercito possono contare sul braccio armato di buona volontà e quel valore insopprimibile di impegno nell’affiancare i vicini, gli amici, semplici conoscenti: cittadini che aiutano altri cittadini. L’onda della tempesta che lascia il posto a quell’onda di solidarietà che porta un po’ di conforto a chi ha perso tutto.
Gli studenti del Mossa e il tam tam su Facebook per aiutare le vittime dell’alluvione
Dagli “Angeli dell’Arno” agli angeli di Olbia. L’onda di piena ha distrutto interi quartieri e gli studenti del Liceo scientifico Lorenzo Mossa per un giorno hanno lasciato a casa lo zaino con i libri per imbracciare scope, palette, vanghe per dare una mano nei quartieri più colpiti dall’alluvione: dalla zona Baratta, passando per Bandinu, i ragazzi si sono incontrati davanti al Mossa dopo un passaparola su Facebook che ha creato il gruppo di volontari pronti a mettere a disposizione le loro forze per le vittime del disastro. Stivali alti e tanto impegno, come quello di Andrea, alunno della IV C del liceo Scientifico, che è partito all’alba da San Teodoro nonostante la scuola non riaprirà a breve. “Abbiamo deciso di incontrarci e dare una mano – spiega – ora ci dobbiamo dare da fare. Più siamo, meglio è”.
Il Centro umanitario di via Canova crocevia degli aiuti per agli olbiesi
C’è un luogo più di altri che rappresenta il punto di raccolta di vite su sponde opposte, quelli che devono ricevere una mano perché hanno perso tutto, e coloro che si mettono in moto per dare aiuti di ogni genere ai loro concittadini più sfortunati. Intorno al Centro Umanitario di via Canova si raccolgono abiti, pasti, qualsiasi bene di conforto che possa rendere i giorni dopo l’alluvione meno gravosi, anche solo garantendo condizioni minime di sopravvivenza. Chi non vede non può forse comprendere la condizione di chi ha perso tutto: senza casa, auto, senza soldi perché portafogli e bancomat sono finiti sott’acqua. Chi non ha parenti o famiglie che possono aiutarli, o anche chi ce li ha ma non bastano, si rivolge ai volontari che si concentrano nel Centro Umanitario. Un centinaio di persone, dalla Caritas all’associazione Agorà, giovani e anziani, cittadini di varie etnie che combattono per le vittime della multietnica Olbia. Tutti dalla stessa parte.
“Siamo commossi per l’impegno e la partecipazione di tutti – racconta Annamaria Chessa – gli olbiesi ospitano gli olbiesi, la solidarietà è qualcosa che sta nell’anima di questa città. Poi la macchina degli aiuti, con donazioni che arrivano da Sassari, stanno arrivando due Jeep, due camion e un autoarticolato, lungo 19 metri, pieno di vestiti. Ci arrivano donazioni e offerte di aiuto da Piombino come Genova, da Torino e Bari. Un olbiese che vive a Berlino sta tornando in città per dare una mano”.
“Servono soprattutto i materassi”: il simbolo di un’emergenza continua
“Servono soprattutto i materassi, gli hotel si sono messi a disposizione e stanno facendo molto per raccogliere e donare materassi e brande. Ma ne servono ancora”. Forse un altro dei simboli della tragedia sta in queste parole di Annamaria Chessa, la responsabile del Centro Umanitario. Chi ha perso la casa, non sa dove dormire. Gli alberghi hanno messo a disposizione stanze in tutta Olbia, compresi b&b e agriturismo, ma i posti letto non bastano mai. “L’emergenza ora è dove dormire – spiega la Chessa – il problema del vestiario arriverà nei prossimi giorni, per chi sarà riuscito a rientrare nelle proprie abitazioni. Emblematica la storia di un uomo di 84 anni che nella notte di lunedì si è presentato in via Canova con i pantaloni di una tuta raccattata per terra e fradicia, un paio di scarpe prestate da un vicino e senza biancheria intima. Colpito dall’alluvione non ha avuto nemmeno il tempo di indossare la biancheria intima”. L’anziano abitava vicino al sottopasso di via Amba Alagi, vicino a quel canale del Rio Gaddhuresu che dopo ogni pioggia forte sputava acqua sulla strada. Lanciava un segnale, che non è stato colto. Ora è il tempo dell’impegno, della vicinanza a chi ha perso tutto, come i familiari delle vittime, e a chi ha perso quasi tutto quello di materiale che sta intorno alla vita degli individui. Ma queste storie non vanno dimenticate soprattutto nel momento di attribuire delle colpe.
Giandomenico Mele