Nell’Isola il tasso di abbandono scolastico è al 17 per cento. Sette giovani sardi su dieci sono disoccupati

Il nuovo anno scolastico è appena iniziato e all’avvio delle lezioni è ormai consuetudine fare un’analisi della situazione della scuola nella nostra regione. Si sa bene che dispersione e abbandono scolastico sono forse i problemi più preoccupanti ma per avere un quadro più preciso e dettagliato è necessario mettere insieme sia gli aspetti positivi, quelli da cui ripartire con fiducia, sia quelli negativi, che necessitano di interventi e di una pianificazione immediata. È quello che hanno fatto Silvia Talana e Vania Statzu, ricercatrici delle Acli della Sardegna elaborando gli ultimi dati Istat disponibili.

Gli aspetti positivi, bisogna dirlo, sono purtroppo pochi. C’è una percentuale di bambini da 0 a 2 anni iscritti all’asilo nido del 46,5 per cento, sensibilmente più alta della media nazionale del 31,7 per cento e che ci colloca al secondo posto nel Paese superati solo dalla Valle d’Aosta. Altro aspetto positivo la percentuale di scuole accessibili nell’isola che è pari al 45,4 per cento e supera di ben 5 punti la media nazionale.

Il lungo elenco degli aspetti negativi si pare con il tasso di abbandono scolastico che raggiunge il 17,3 per cento, ben più alto della media nazionale che si ferma al 10,5 per cento. Molto alto anche il tasso di dispersione implicita, cioè la percentuale degli studenti che al termine del loro percorso scolastico non raggiunge le competenze minime. In Sardegna siamo al 15,9 per cento contro l’8,7 per cento del resto dell’Italia. I dati Invalsi registrano che poco meno della metà degli studenti delle terze classi delle secondarie di primo grado hanno una competenza alfabetica non adeguata, mentre a livello nazionale la percentuale è più bassa di quasi dieci punti. E non va meglio con le competenze in matematica, non adeguate al 58,1% degli studenti sardi delle stesse classi contro il 44,2 per cento del resto dell’Italia. Per quanto riguarda il tasso di conseguimento del titolo di scuola superiore di secondo grado nella popolazione tra i 25 e i 64 anni, la Sardegna si colloca al penultimo posto a livello nazionale, con poco più della metà, il 55 per cento, della popolazione in possesso con questo titolo, a fronte di un dato nazionale del 65,5 per cento.

Preoccupante anche l’indicatore dei giovani tra i 16 e 24 anni che dopo il diploma di terza media non ha conseguito qualifiche professionali riconosciute o non si è inserita in un altro percorso di istruzione o formazione, il dato sardo è del 17,3 per cento, contro una media nazionale del 10,5 per cento. Negativo anche il dato dei Neet (i giovani che non studiano e non lavorano) n Sardegna raggiungono il 19,6 per cento contro il 16,1 per cento a livello nazionale.  Il tasso di occupazione giovanile, nella fascia di età 15-29 anni, in Sardegna è al 29,6 per cento, contro il dato nazionale pari al 34,7 per cento: 7 giovani sardi su 10, quindi, sono disoccupati.

L’analisi permette anche di fare una fotografia della situazione a livello provinciale. Il tasso di disoccupazione giovanile per la classe di età compresa tra i 15 e i 24 anni: la provincia di Nuoro registra il minor tasso di disoccupazione (13,2 per cento); seguono le province di Oristano (21,8 per cento), Cagliari (23,2 per cento) e Sassari (27,6 per cento). Il tasso di disoccupazione giovanile più elevato lo registra la provincia del Sud Sardegna, con un dato ben superiore rispetto alle altre realtà territoriali, pari al 36,7 per cento.

Per quanto riguarda invece la laurea o altri titoli terziari sono il 27 per cento i sardi che possiedono tali titoli, contro una media nazionale del 30,6 per cento.  E infine le competenze digitali, il dato sulla popolazione sarda tra i 16 e i 74 anni che ha almeno quelle di base è pari al 43,3 per cento a fronte di un dato nazionale del 45,9 per cento. “La fotografia che ci viene restituita da questa lettura comparata di dati di fonte Istat – scrivono le due ricercatrici Acli – sottolinea non tanto una mancanza di infrastrutture per quanto riguarda il sistema scolastico e la formazione, quanto un deficit in termini qualitativi, in particolare per quei titoli di studio e di competenze diffuse che più facilitano l’entrata nel mondo del lavoro”.

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