Malasanità e pazienti gravi, su Facebook le odissee vissute da due giornalisti

Due giornalisti sardi, a distanza di poche ore, hanno raccontato due storie di malasanità vissute in prima persona mentre assistevano i rispettivi parenti malati. Il 5 agosto è stato Alessandro Aramu a raccontare su Facebook la propria odissea, il giorno successivo l’ha fatto Marco Lai.

Mia sorella – ha scritto Aramu – è una malata oncologica allo stadio terminale, paralizzata dopo un terzo ictus. Oggi (il 5 agoasto, ndr), dopo aver avuto un foglio di ricovero a seguito di analisi allarmanti per il basso numero di piastrine nel sangue, con il rischio imminente di una emorragia potenzialmente mortale, si trova esattamente dalle ore 14 nel pronto soccorso dell’ospedale Brotzu di Cagliari in attesa di entrare in reparto. Quasi 10 ore, al caldo, senza sapere alcunché, come se una malata in fase terminale valesse meno di un codice rosso, come se per la gravità della situazione lei stessa non fosse un codice rosso. Questa è la sanità in Sardegna, questo è ciò che ha creato la politica di questa regione. Domani andrò alla Procura della Repubblica per denunciare i vertici dell’azienda ospedaliera”.

Il 6 agosto ha scritto Lai: “Sabato 23 luglio il 118 ha trasportato mio padre, 93 anni, invalido, allettato da sei mesi, con una polmonite in corso che non rispondeva alle cure, un’anemia che lo costringeva a periodiche trasfusioni e un carcinoma prostatico ormai avanzato, al pronto soccorso di Oristano per mettere un sondino naso gastrico. Nella notte si era sfilato accidentalmente quello che gli era stato posizionato il mercoledì precedente dagli infermieri dell’assistenza domiciliare (Adi). Un inconveniente banale che è diventato emergenza poiché L’Adi interrompe i servizi il venerdì alle 14 e li riprende il lunedì mattina. Due giorni e mezzo di totale abbandono senza nessuno che mantenga almeno la reperibilità per occuparsi delle urgenze. Una cosa di una gravità assoluta oltreché vergognosa. Non abbiamo trovato, e Dio sa se abbiamo cercato, in tutta la provincia di Oristano nessuno, infermiere o medico, che potesse venire a casa a ripristinare il sondino. Neanche fra quelli che lavorano privatamente. Non tutti i medici di guardia sanno affrontare queste situazioni. Quello in turno in quel giorno ci ha consigliato di rivolgerci al 118. La conseguenza di questo caos è stata l’interruzione dell’alimentazione, dell’idratazione e soprattutto delle terapie farmacologiche che stavano tenendo in vita mio padre, oltre al fatto di costringere un paziente di quell’età e in quelle condizioni, oggettivamente intrasportabile, a doversi recare a Oristano, tra l’altro con un codice verde. Sono rimasto al San Martino con lui otto ore per aiutarlo a sopportare un carico di sofferenza davvero inutile. Ci lamentiamo delle file negli ospedali ma sul territorio cosa c’è se non il deserto assoluto? L’assistenza domiciliare non può conoscere domeniche e non può andare in ferie, non in un Paese civile, specialmente quando tratta malati terminali. Il volto sofferente di mio padre trasportato su una portantina per un piano di scale e poi caricato sull’ambulanza resterà impresso nella mia mente per sempre. Queste righe sono per lui e per chi ha subito lo stesso disagio. Babbo non è morto per questo ma è morto dopo aver subito anche questo. P.S. Il costo dell’ambulanza per riportarlo a casa è naturalmente a carico dei familiari, come accade anche per tutte le prestazioni domiciliari urgenti, flebo, medicazioni ecc, che L’Adi non riesce a erogare direttamente. Ed è un dettaglio soltanto per chi se lo può permettere“.

[Foto d’archivio]

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