Deja Berritta, 29 anni, da un anno lavora a Cagliari come specializzanda in medicina legale. Viene dalla Sicilia, precisamente da Siracusa, e in questi mesi ha cercato di conoscere al meglio un’isola che ricorda molto, per certi aspetti, la sua. Ha sentito anche lei le parole contestate del suo conterraneo Roberto Saieva, procuratore che in un discorso ufficiale, pochi giorni fa, ha sottolineato “l’istinto predatorio tipico della mentalità barbaricina“. Ma rispetto ai sardi che hanno trovato questa frase offensiva e fuori luogo lei, da siciliana che da tempo vive qui, ha un’opinione diversa.
“Mi sono trovata diverse volte a esprimere una opinione sui sardi, ma il fatto di non essere sarda ha più volte reso il mio parere oggetto di svalutazione da parte dei sardi stessi: ho notato che in più di una persona c’è una tendenza a pensare che chi non è originario di questa isola non possa avere una idea attendibile della ‘sardità’. Eppure credo che dall’esterno certe dinamiche possano essere considerate più lucidamente, quando non facilmente comprese per le difficoltà interpretative che un diverso ‘codice sociale’ rispetto a quello di provenienza fa scaturire, intendendo con quest’ultimo un diverso linguaggio di uso comune, diverse idee estetiche e un differente sistema di valori: il tutto, traducendosi nelle più semplici regole di convivenza quotidiana, è di somma importanza.
In merito alla frase incriminata del Procuratore Saieva, difficilmente un sardo avrebbe utilizzato un linguaggio analogo, perché un sardo conosce bene la sensibilità della propria gente su certe questioni, in particolare quella identitaria. Siete un popolo giustamente fiero della propria identità, che è fortemente connotata, come anche il Procuratore, più in là nel suo discorso e sempre in merito alle tendenze criminali dell’isola, afferma: ‘non vi sono evidenze che denuncino la presenza nel territorio di criminalità organizzata di tipo mafioso. (…) Si tratta di fatti (…) che allo stato non denunciano una mutazione della congenita refrattarietà del popolo sardo a fenomeni criminali caratterizzati da stabile organizzazione, quale probabile riflesso, positivo in questo caso, dello spiccato individualismo che lo connota‘. In questo caso probabilmente l’aggettivo ‘congenito’ è accettato serenamente, in quanto definisce positivamente e fieramente il popolo sardo.
Non c’è dubbio che parlare d’istinto, in un contesto in cui il significato delle parole è di primaria importanza, è infelice. Eppure non sarei così drastica nel condannare questa frase: dal vocabolario Treccani, alla voce istinto: ‘inclinazione, disposizione innata dell’animo, indole, temperamento, natura particolare di un individuo’; e d’altra parte perché negare che, in una società peraltro così fortemente caratterizzata e conservata, come quella barbaricina, l’atto predatorio fosse normale e radicata modalità di regolazione dei conti o perfino un legittimo modus di elevarsi socialmente? È questo ciò che dicono anche gli studi di importanti antropologi originari di questa terra, originari proprio della Barbagia. Ebbene, dove sta sta l’offesa? In ogni luogo del mondo esiste la delinquenza, ed in ogni luogo del mondo i reati si consumano con modalità più o meno peculiari“.
Qualcuno in un dibattito su Facebook ha fatto notare alla giovane siciliana che sarebbe stato come parlare di ‘istinto mafioso tipico della mentalità siciliana’. Ecco cosa ha risposto: “Chi vive in un ambiente a così forte infiltrazione mafiosa come quello siciliano, inevitabilmente tende ad assumere una istintualità reattiva, o passiva, riconducibile a modalità mafiose. Non significa che ‘tutti i siciliani’ sono mafiosi, ma che ogni normale siciliano sa cosa è la mafia, ne conosce le regole, e che se le cose in Sicilia vanno così male (molto peggio che in Sardegna) è perché il siciliano accetta passivamente, quando non ne è parte attiva, la modalità mafiosa e col tempo la assume pure: senza accorgersene, per osmosi, si fa penetrare dalla paura, accettando così, e quindi riconoscendolo, il potere della mafia, e arrivando in casi estremi a giustificarlo pure: si ‘rispetta’ così il parcheggiatore abusivo, il pizzo, il collega raccomandato che non si reca a lavoro. Mi dispiace ma in Sicilia è così e nessuno (o quasi) lo negherebbe in buona fede. Ma quella della mafia, quella della Sicilia, per vostra fortuna, è altra Storia”.
Francesca Mulas