(Ma.Sc.) – Più che una rete idrica quella sarda è uno scolapasta dal quale fuori esce il 50 per cento dell’acqua immessa. Una rete che fa acqua da tutte le parti: impianti vetusti, corrosione, deterioramento, giunti difettosi o rottura delle tubature, molte delle quali ancora in cemento-amianto.
Lo segnala un report stilato dal Centro studi della Cna Sardegna che analizza l’ultimo censimento dell’Istat, secondo il quale le perdite idriche nei comuni capoluogo sardi sono superiori alla media regionale, fino a sfiorare il 63% nel comune di Sassari. “La rete idrica sarda è un colabrodo e non garantisce un’acqua di buona qualità – spiegano nel dossier -. Prova ne sia il fatto che il 12% della popolazione isolana si lamenta e addirittura il 50% non si fida di berla e ricorre all’acqua in bottiglia.
Secondo quanto emerso dall’analisi di Cna c’è un’enorme differenza tra la quantità di acqua immessa nella tubature e quella effettivamente erogata. Diverse le cause: “Sono attribuibili solo in parte ad una perdita fisiologica, che incide inevitabilmente su tutte le infrastrutture idriche e varia generalmente tra il 5% e il 10%, – spiegano dal Centro stud -, in parte da prelievi abusivi (3-5% in media), il resto è dovuto al volume di acqua che fuoriesce dal sistema di distribuzione a causa di vetustà degli impianti, corrosione, deterioramento o rottura delle tubazioni”. Per migliorare la situazione e arginare le perdite nei 13.450 chilometri di rete idrica andrebbero eseguiti interventi immediati.
“La Cna stima che ricostruire a nuovo la rete acquedottistica regionale costerebbe circa 2,7 miliardi di euro – spiegano -. La sola manutenzione così come è condotta attualmente non è più sufficiente. Si consideri che a livello nazionale, dove la situazione media è meno compromessa, agli attuali ritmi di sostituzione della rete con più di 50 anni si stima che si arriverà ad una situazione di rinnovo complessivo in 52/55 anni. Naturalmente, nel frattempo, i restanti chilometri di rete saranno tutti entrati nei 50 anni di vita”.
La situazione pessima della rete si ripercuote chiaramente sulle famiglie che secondo una ricerca pubblicata nel 2020 dall’Università di Cagliari, preferiscono non bere l’acqua del rubinetto perché lo reputano un rischio. “Dai dati pubblicati dall’Istat – spiegano da Cna – emerge che il 30 per cento delle famiglie sarde non è soddisfatto del servizio idrico e quasi il 10% non lo è per niente: tre volte di più della media nazionale che si attesta a 2,9 per cento”.
L’insoddisfazione, secondo gli esperti del Centro studi Cna, è legata a diversi fattori: frequenti interruzioni del servizio, caro bolletta, ma anche la qualità stessa dell’acqua, cioè sapore, odore e colore. Una serie di fattori concomitanti che porta il 12 per cento dei sardi a ‘bocciare’ l’acqua del rubinetto spingendoli a comprare quella in bottiglia e di conseguenza a produrre sempre più rifiuti plastici.
“In un contesto di sempre maggiore scarsità della risorsa idrica, specialmente in Sardegna – commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna –, è prioritario affrontare il problema dell’infrastruttura idrica regionale al fine di ridurre gli sprechi, abbassare il costo a carico delle famiglie per il consumo di acqua in bottiglia , limitare i consumi di plastica e i rischi ambientali connessi al loro riuso e smaltimento”.