Da lunedì mattina si è incatenato davanti ai cancelli della Italcementi di Samatzai, nel Cagliaritano. Alle inferriate ha appeso i documenti: soprattutto uno, quello più importante, che mette nero su bianco le ragioni del reintegro. La data è del 5 giugno di quest’anno, tribunale del lavoro. C’è scritto che Silvano Barabino, 58 anni, deve essere riammesso sul posto di lavoro. Ma di fatto così non è. E la battaglia va avanti ormai solo grazie alle telefonate degli avvocati dello studio Maciotta. Fino alla protesta di questi giorni.
La storia. Barabino lavora, o meglio, ha lavorato fino al 2012 per una ditta d’appalti della Italcementi, la Meccanica costruzione. Lo faceva dal 1979, ossia da 32 anni. Poi, il passaggio a un’altra società siciliana, di Agrigento: la Abate meccanica che ha acquistato la prima. In mezzo c’è una causa con la prima azienda per un trasferimento da Samatzai a Sassari. E così succede che la nuova ditta assorbe tutti i 17 dipendenti, tranne uno. Proprio Barabino, e nasce la guerra legale. Fino alla sentenza, di fatto rimasta lettera morta.
Ed ecco quindi l’atto estremo. “Andrò avanti fin che non mi ascolteranno – spiega al telefono Barabino. E aggiunge: “Le ultime proposte sono davvero oscene. Irricevibili. Dovrei rinunciare agli arretrati di due anni, contributi previdenziali inclusi, e mettermi in mobilità per altri tre anni ancora. Il tutto a costo zero per l’azienda”. Nessuna interlocuzione diretta ma scambi di telefonate tra avvocati. L’operaio dovrebbe andare in pensione ad aprile 2018. “Ma io non chiedo nessun favore, mi facciano lavorare, come è giusto e come ha stabilito un giudice”. Al momento solo qualche visita di cortesia: il sindaco, qualche delegato sindacale. Attorno i documenti appesi e il via vai dei lavoratori. mo. me.