La chemio a Cagliari in tempo di Covid: “In fila dall’alba, si finisce dopo 11 ore”

“In fila dalle cinque e mezza della mattina per fare la chemioterapia“. Se questa è la sanità. Se questa è una regione che può definirsi civile. A parlare è un 60enne di Cagliari che chiede di restare anonimo. A Sardinia Post racconta di essere in cura all‘Oncologico del capoluogo.  Primo e secondo ciclo fatti da agosto, “ne mancano altri tre”. Con cadenza settimanale sono programmati i controlli. “E vuol dire la stessa trafila ogni volta”.

Mario – questo il nome di fantasia – arriva al Businco “intorno alle cinque e mezza – racconta -. E non sono nemmeno il primo. L’ultima volta priam di me c’erano già sei persone”. Appena si raggiunge l’ospedale, “si deve prendere il numero, c’è il contafila all’interno, tra la prima porta scorrevole e la seconda vetrata”. Adesso che il tempo è peggiorato, “si brucia l’attesa in macchina”.

Inutile dire che cambia tutto per chi non abita a Cagliari. Per la chemioterapia l’Oncologico è infatti l’ospedale di riferimento del Sud Sardegna. Significa aggiungere almeno un’ora di viaggio all’andata e un’altra per tornare a casa. Ma soprattutto chi arriva dal resto della Provincia è costretto ad alzarsi alle tre del mattino, per essere tra i primi.

Sotto il profilo strettamente sanitario la giornata di un malato oncologico comincia con l’esame del sangue. “La sala prelievo – va avanti il paziente di Cagliari – apre alle sette e mezzo”. L’accesso è consentivo ai primi pazienti una ventina di minuti prima. In gruppetti di cinque. “All’ingresso c’è una persona che misura la temperatura col termoscanner, ma inutile dire che ci formano assembramenti. La sicurezza anti-Covid non è garantita“, sottolinea Mario.

Si fanno le otto. Sono già passate due ore e mezzo dall’arrivo ed è solo l’inizio della trafila. Dopo il prelievo, si deve raggiungere il terzo piano per prendere il secondo numero della giornata, quello che dà diritto alla visita specialistica che viene fatta due piani più sopra, al quinto. “In media c’è un’attesa di altre due ore”. Infine la chemioterapia che “non comincia mai prima delle dieci e mezza, quando va bene”.

Adesso basta fare due calcoli: la chemio viene fatta in due giorni, uno di seguito all’altro. Nel primo le flebo sono a rilascio lento. “Si sta in sala anche sei ore”. Il giorno successivo è più breve, “circa due e mezza”, spiega Mario. Sommando i tempi delle attese e delle file, si va via dall’ospedale intorno alle 16, dopo undici ore. Una follia.

Eppure in tutta Italia ci sono modelli organizzativi che non contemplano l’arrivo all’ospedale prima dell’alba, come vergognosamente succede a Cagliari. “Basterrebbe che si copiasse semplicemente, non è necessario nemmeno essere dei geni della sanità. Persino una persona inesperta può prendere a prestito da un’altra realtà sanitaria un modello che funziona”.

C’è da augurarsi che al Businco, che fa ancora parte dell’azienda Brotzu, provino almeno a studiare un’altra soluzione per evitare ai malati oncologici un’odissea di undici ore. Di cui la metà assolutamente inutili. “Se non fosse per la tenacia per personale, costretto a turni e orari massacranti, sarebbe un assoluto disasstro. Questa sanità, così com’è, non funziona”. E per dimostrarlo non serve davvero altro.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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