Kyudo, l’arte giapponese di tiro con l’arco che fa bene al corpo e alla mente: ecco dove praticarla

di Umberto Zedda

In un silenzio sospeso, la freccia parte e vola senza clamore. Non è solo un gesto atletico, ma un rituale. Il Kyudo, l’arte giapponese del tiro con l’arco nata intorno al XII secolo, è molto più di una disciplina sportiva: è una via di crescita personale, di concentrazione, di equilibrio tra corpo e mente.

In Sardegna esiste un solo luogo dove questa antichissima pratica viene custodita e insegnata: il Kyudo Club Cagliari, guidato dal maestro Rinaldo Crespi. SardiniaPost lo ha intervistato per scoprire cosa si nasconde dietro questa affascinante arte.

“Ho creato questa scuola nel 2015, dopo essere tornato da Milano, la città in cui vivevo – racconta Crespi –. Ho sempre praticato arti marziali, dal Karate all’Aikido, poi quasi per caso ho assistito ad alcune lezioni e, dopo aver provato, me ne sono appassionato. Mi sono allenato per tre anni da solo; il fato ha voluto che qualche curioso si avvicinasse, e così ho fondato la scuola. Oggi pratico quest’arte da 17 anni”.

Questa disciplina si differenzia dal canonico tiro con l’arco in diversi aspetti, a partire dalla grandezza dell’arma e dal fatto che – come vuole la tradizione – non si utilizzano mirini, stabilizzatori o altri strumenti di supporto.

“Gli archi, originariamente in bambù, si deterioravano facilmente essendo un materiale vegetale, così oggi si realizzano con fusti di legno, la cui lunghezza varia in base all’altezza dell’arciere. Il più piccolo si chiama Nami e misura 2 metri e 22 centimetri, ma ce ne sono di più lunghi. Anche l’impugnatura è diversa da quella di un arco comune: è asimmetrica, posizionata circa ai due terzi dell’arco, non al centro. Non è chiaro il motivo, ma probabilmente ha origine nella necessità di non interferire con il cavallo durante il tiro in corsa”.

Una disciplina di nicchia, praticata con dedizione e rispetto quasi rituale: in tutta Italia si contano circa 500 kyudoka, e il club di Cagliari accoglie attualmente sette praticanti, che si allenano con costanza e impegno. Numeri piccoli, che riflettono però la natura esclusiva e profonda di quest’arte.

“Il Kyudo non è solo una tecnica – spiega il maestro Crespi – ma una via per conoscere sé stessi. Ogni gesto è carico di intenzione e richiede una totale presenza mentale: la ricerca del gesto perfetto diventa una forma di meditazione in movimento, una disciplina interiore che si riflette nel controllo del corpo”.

Nato per le classi più nobili di samurai, il Kyudo veniva trasmesso da maestro a discepolo gelosamente. “In passato c’erano diverse scuole che tramandavano tecniche diverse e alcuni scritti destinati a pochi prescelti. La mia scuola si chiama Hikei Insai Ha, ed è una delle più antiche: si racconta che sia giunta fino a noi grazie ad un certo Hinagaki che ricevuto l’ordine dall’imperatore Hiroito abbia insegnato il Kyudo anche fuori dal Giappone. È una fortuna che nonostante il divieto di armi imposto al Giappone imposto dopo la Seconda guerra mondiale quest’arte è giunta fino a noi”.

Il Kyudo Club Cagliari si esercita nella palestra Forma Karalis, in uno spazio lungo ben 15 metri. Nonostante ciò, il tiro medio dell’arco giapponese dovrebbe essere di 28 metri e perciò sono alla ricerca di uno spazio più grande per poter praticare come tradizione vuole

Chiunque voglia avvicinarsi a questa antichissima arte può assistere o partecipare a una lezione del Kyudo Club Cagliari, che si ritrova ogni sabato mattina presso la palestra Forma Karalis. Un’occasione preziosa per scoprire da vicino un’arte tanto silenziosa quanto profonda, dove il bersaglio non è mai soltanto esterno, ma anche e soprattutto interiore.

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