“Io, distrutto dalla Saras, coltivavo pomodori all’arsenico”

“Guardavo in faccia i dipendenti e dicevo ‘Ragazzi, andiamo via, non si può lavorare così’. Uscivamo in fretta dalla serra e tutti a casa, prima di svenire in mezzo ai pomodori. Ha idea di cosa significhi stare in una serra che a seconda del vento viene invasa dai gas di scarico di una raffineria? Semplicemente non si riesce a respirare. Ecco, certi giorni era così. Anche se dicono che gli abitanti di Sarroch, ai fumi della Saras e a quel puzzo pregnante che ti invade i polmoni siano ormai abituati: ecco, noi abbiamo oltrepassato quel limite, il limite dell’abitudine”.

Carlo Romanino alle torri che sputano fuoco e ai miasmi che salgono dagli immensi serbatoi della Saras non si rassegna. E i Moratti li ha portati in tribunale – udienza fissata il 29 gennaio – chiedendo un risarcimento di tutto rispettto: due milioni e mezzo di euro. Perché è convinto che l’azienda di famiglia, 10mila metri quadri di terreno in località Leonaxi, a poche centinaia di metri da una delle raffinerie più grandi d’Europa, sia morta causa forza maggiore. Che in questo caso, dice uno studio commissionato al geologo cagliaritano Manlio Aime, si chiama Saras.

Tradotto: pomodori all’antimonio. E all’arsenico, al nichel, al piombo, al vanadio, al rame, allo zinco. Tutti metalli pesanti e tutti metalli presenti – e in elevata concentrazione – nell’azienda Romanino.

“Che qualcosa non andasse per il verso giusto lo avevamo sospettato – racconta Carlo, che ha deciso di onorare la tradizione di famiglia e fare l’agricoltore – ma la conferma è arrivata qualche tempo fa, quando mio padre notò che le canalette montate per convogliare l’acqua piovana verso un laghetto artificiale, usato per irrigare i campi, erano corrose. In un primo momento pensai alla salsedine, visto che siamo a ridosso del mare. Ma subito dopo mi chiesi: ‘E come mai altre aziende, a Santa Margherita ad esempio, non presentano lo stesso problema?’. Decisi di andare a fondo. E contattai Manlio Aime”.

Manlio Aime è un geologo cagliaritano. Parla con Romanino e si mette subito al lavoro: raccoglie i campioni da analizzare e li spedisce a Firenze. La conferma arriva dopo qualche tempo: il sito è inquinato. E parecchio.

“Abbiamo fatto rifare le analisi tre volte – racconta oggi l’agricoltore di Leonaxi – perché dopo i primi test ci dicevano che la concentrazione di metalli pesanti era troppo elevata. Inutile dire che i risultati non sono cambiati e non poteva essere altrimenti: soprattutto quando l’umidità è alta, i metalli precipitano a terra e lì rimangono”.

Così la produzione si ferma: i pomodori camona, fiore all’occhiello dell’azienda Romanino, spariscono dal mercato.

“Ma anche prima della chiusura avevamo difficoltà a piazzarli – ricorda Carlo -. Appena i grossisti sentivano pronunciare la parola ‘Sarroch’ quasi scappavano. Oppure compravano a prezzi molto inferiori a quelli di mercato ‘perché lì, si sa, è tutto inquinato’”.

In una regione martoriata dalla disoccupazione, per Romanino diventa difficile anche arruolare nuovi dipendenti.

“Non volevano venire a lavorare da noi, avevano paura della raffineria, dei fumi. In definitiva, del cancro. D’altronde a Sarroch non passa mese che non ci si ritrovi in chiesa e poi in cimitero: messa e funerale. Tutti morti di tumore, a cadenza ciclica. E spesso giovani. L’ultimo lutto pochi giorni fa: donna, quarant’anni. Il penultimo ai primi dell’anno”.

Quando ha deciso di partire lancia in resta contro la Saras, Romanino ha chiesto l’aiuto delle istituzioni. O perlomeno, ha inviato i risultati dello studio di Manlio Aime all’Arpas, alla Asl, al prefetto di Cagliari e alla Provincia, al ministero dell’Ambiente e al sindaco di Sarroch.

“Risposte? Esclusa la Provincia, che non ricordo nemmeno cosa abbia scritto, nessuna. Tutti zitti. Eppure almeno il Comune qualcosa dovrebbe saperla, visto che sono stati spesi circa 600mila euro per l’installazione delle centraline di monitoraggio. Eppure, ripeto, stanno tutti zitti. Perché?”.

Già: perché?

“Io un’idea ce l’ho – dice Romanino – ma non posso provarla”.

Pablo Sole

sole@sardiniapost.it

 

 

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