Potremo definirla o chiamarla la millestorie di Millesport. Perché un’associazione dinamica e all’avanguardia come quella cagliaritana, che si dedica anima e cuore ai 70 ragazzi e ragazze con disabilità intellettive, non può non avere al suo interno storie che vale davvero la pena di raccontare. Come quelle di Marco che raccontiamo qui e di Roberto e Fabio Maria nel link. Tre vicende e percorsi differenti che sono la testimonianza più genuina dei passi avanti fatti nel nostro Paese sull’associazionismo, il volontariato e i benefici che ne hanno ricavato in prima persona i diretti interessati, e di conseguenza le famiglie e la società civile.
Storie con la S maiuscola, come quella di Marco “Arturo” Dessì, 30 anni da Oristano. Uno dei beniamini degli atleti ed atlete dell’associazione grazie al suo sorriso contagioso, al dinamismo, alla sua voglia di fare e ad un bagaglio tecnico ragguardevole, sopratutto per quanto riguarda il calcio. Perché Marco – benchè giovane – ha un passato da professionista del pallone avendo militato nella primavera del Cagliari per 2 stagioni, che avrebbe potuto sfociare anche nell’esordio in prima squadra se, come ammette lui stesso con rimpianto, avessi deciso di soffrire un po’ di più con la maglia rossoblu per raggiungere un traguardo certo non facile e per il quale è necessario avere la testa di un saggio trentenne, nel corpo di un 18enne. Anche un po’ testardo, come ero io all’epoca.
Allora Marco, dalle alte sfere del calcio che conta, dall’altare del professionismo, agli altrettanto alti vertici dell’associazionismo e del volontariato che da un paio di anni a questa parte si sono anche trasformati nel tuo lavoro?
Eh sì, oggi mi reputo davvero felice, appagato e fortunato nello svolgere un servizio davvero unico. Mi trovo in una grande famiglia, la mia seconda famiglia, dopo aver lasciato fin troppo giovane la mia amata Oristano per inseguire il sogno del calcio che conta. I giovani , con i quali sono a contatto quotidianamente, spesso mi trovo a considerarli quasi dei figli o, nel caso di quelli più grandi come fratelli. Sono loro che danno tanto a me e io li ripago con la stessa moneta: la fiducia e l’affetto. E di certo con loro le mie giornate sono più serene, dense di soddisfazione.
Marco è entrato a far parte della famiglia Millesport in pianta stabile dal dicembre 2013 dopo aver perso il lavoro, anche a causa della beffarda legge Fornero. Proprio nella natia Oristano svolgeva le mansioni di tecnico del monitoraggio ambientale “ma già da almeno 7-8 anni mi ero avvicinato al mondo del volontariato. Proprio a Cagliari dove studiavo biologia all’università, dapprima con l’associazione Ape Laboriosa, quindi dall’anno di fondazione con Millesport. Quando vivevo ancora ad Oristano mi ricordo che non mi pesava andare su e giù 3-4 volte a settimana. Quei 200 chilometri li facevo volentieri. In un certo senso si stava delineando già allora il percorso che mi ha portato a lavorare e a progredire gomito a gomito con i miei ragazzi”.
Vederlo giocare il mercoledì nelle gagliarde sfide di calcio integrato è davvero una delizia. E di certo i giovani e i meno giovani che affollano l’impianto cittadino delle Suore francesi di via San Giovanni ne hanno tratto soltanto benefici. Del resto, ancora oggi, lo si può ammirare nel team di calcio a 5 Asd Delfino che milita nella serie C. “Questo mi consente – racconta – di dedicarmi pienamente al mio lavoro. Ho ricevuto anche proposte per giocare in serie B, sempre nel calcetto, ma non sarei riuscito a conciliare le due attività”.
Centrocampista dai piedi buoni, brevilineo, nella sua carriera di spicco ha giocato contro rivali del calibro di Mirko Vucinic, Cacia, Bojinov, il portiere della Roma Curci entrato nella finale del torneo Nike allo stadio Castellani di Empoli soltanto per parare i rigori: e ne neutralizzò ben tre a noi del Cagliari! E ancora: Pepe, Quagliarella, Ledesma e Aquilani allora alla Roma. Inevitabile che il discorso scivoli sui professionisti del calcio. “Andrea Pirlo è e resterà un modello per tutti per classe, visione di gioco e posizione in campo. Ma il punto di riferimento per il mio modo di stare dentro il rettangolo del calcio è il fuoriclasse del Barcellona Andres Iniesta”.
Quanto conta la testa e quali sono gli anni decisivi per fare il salto di qualità nel calcio che conta?
Faccio l’esempio di un ex giocatore sardo, già nazionale Under 16-17. Potenziale unico, ma ora fa un lavoro comune. Invidio invece la “testa” di Francesco Pisano. Forse con minori qualità, ma base consistente, ha fatto quasi 250 presenze in serie A, quasi tutte col Cagliari. E’ stato a 22 anni il più giovane capitano della squadra a cui va il mio cuore, il Cagliari, dove a 18 anni aveva fatto il suo esordio in serie A. Proprio così! Le scelte importanti le devi fare tra i 17 e i 19 anni. Certo un po’ presto per pensare in grande, ma a mio parere sono questi i 2 anni decisivi per un giovane che vuole affacciarsi allo sport professionistico.
A chi va il tuo ringraziamento particolare?
Sembra scontato, ma a mamma Anna e papà Tonio. Mi hanno permesso di tentare una carriera nel calcio professionistico e formato con un’educazione che sicuramente mi ritorna utile anche per confrontarmi quotidianamente nel lavoro e nella vita di tutti i giorni. Per i sacrifici che assieme a me, e sono stati tanti, hanno affrontato sostenendomi nei periodi più bui e gioendo in quelli felici.
E sì, perché Marco, grazie al suo talento calcistico è stato una sorta di globetrotter del calcio sardo. Dopo i giovanissimi esordi alla San Paolo calcio di Oristano (pulcini e primo anno di esordienti), proprio in una sfida in una finale di torneo vinta 3 a 0 con i pari età del Cagliari, venne adocchiato dalla società rossoblu. E per anni su e giù col treno tre volte a settimana. “Sacrifici grandi per un 12enne, ripagati poi con i primi successi e le sfide che contano in tutta la trafila che dagli allievi nazionali mi ha condotto fino al naturale approdo della Primavera, possibile trampolino di lancio verso il danaroso calcio professionistico. Erano le stagioni 2001-2002 e io avevo soltanto 16/17 anni”.
Ma impazienza, immaturità, un rapporto col mister non proprio idilliaco e forse la non giusta dose di sofferenza, fanno dirottare le sue scelte verso la serie D, in prestito a metà del secondo campionato Primavera. “Piano piano mi sono reso conto dei miei errori. Calcio professionistico vuol dire anche serietà, non sempre riscontrabili nelle serie minori. E a quel punto dopo tanto girovagare, a soli 22 anni, del calcio avevo già la nausea! Ma c’è anche la parentesi felice della Tharros: campionato di Promozione vinto alla grande e approdo in Eccellenza dove i tifosi, in omaggio allo zio di Marco, lo ribattezzano il “piccolo Arturo”, nickname che si porta appiccicato appresso da allora. Come un distintivo.
Infatti i suoi ragazzi, i ragazzi di Millesport lo riconoscono come Arturo, il loro Arturo.
Angelo Orfanò Chiarenza
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