È un “vecchio leone” delle due ruote. Specialmente della mountain bike. Ma non diteglielo, potrebbe anche offendersi. Scherzi a parte, il conosciutissimo – sopratutto dai bikers isolani – Enzo Pascalis, 62 primavere scoccate il mese scorso e con ancora un fisico invidiabile, ha voglia di raccontare e di vivere in prima persona nuove avventure, per arricchire il suo già straricco bagaglio di esperienze che già sin da piccolo, dalla natìa San Gavino Monreale, lo hanno portato via via nel corso degli anni a calcare strade e sentieri di tutta Europa e di tutto il mondo.
Enzo già a 6 anni incarna bene lo spirito nostrano dello “scappau a pei” (in sardo espressione che significa anche “girovago fin da piccolo”, ndr). Infatti a San Gavino, paese che ha dato i natali anche al campione di ciclismo Fabio Aru, va via di casa per raggiungere il sovrastante castello e vedere cosa c’è oltre la montagna.
Ma racconta lui, ancora divertito, 5 anni dopo la combina ancora più grossa. “Infatti trascinai mio fratello più piccolo, verso la foresta dei Sette fratelli. Mi ricordo che lui mi diceva di aver fame e io lo convincevo ad andare avanti. E quando decisi di fare dietrofront ormai era troppo tardi. Mezzo paese e i carabinieri si erano mobilitati per cercarci”.
Amante delle due ruote, come detto, sia bici da strada che mountain bike, ne possiede 4, sin dagli anni ’80 ha percorso non meno di 10/12 mila chilometri l’anno con punte anche di 18 mila. “Questa mia performance – sottolinea – è coincisa quando con la mia prima bici con le ruote “grasse”, una Gt, ho tracciato più di mille chilometri sui sentieri della Sardegna che poi sono diventati anche una apprezzata guida per i bikers nostrani. Si chiamava Sole, sale e salita, ma ormai non si trova più”.
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Come è avvenuto l’incontro con la mountain bike?
“Nel 1987 un rivenditore di biciclette di Oristano, dal quale mi servivo, mi segnala che un suo cliente gli aveva lasciato questa particolarissima bici Gt. Vederla, sganciare sull’unghia un milione e 200 mila lire, tanto costava allora, e riportarmela a casa col treno è stato un gioco da ragazzi. Da allora di fatto posso dire di essere stato fra i primissimi, se non il primo, in Sardegna a possedere il tipo di bicicletta inventato da Gary Fisher”.
Buon atleta in gioventù dei 400 metri ostacoli, il suo idolo è stato Edwin Moses, l’uomo che faceva 13 passi tra un ostacolo e l’altro, giocatore di pallavolo in serie B con la San Paolo Cagliari, ed antesignano del trekking in Sardegna e in numerosi posti del globo. Ma il vero amore di Enzo Pascalis da sempre sono state le due ruote.
“E ne ho fatta di strada da quando ero giovane. Mi sono divertito a fare un calcolo approssimativo e credo di aver superato in vita mia i 400 mila chilometri. Dieci volte il giro della Terra. Ma non l’ho mai fatto con lo spirito da recordman, ma solo per mio piacere e diletto. Nessuna sfida, ma sete di conoscenza, di allargare i miei orizzonti. Ecco quello che mi sento di dire a tutti, e in particolare ai più giovani: anche noi persone normali se lo vogliamo riusciamo a fare qualunque cosa, non bisogna essere per forza dei super-uomini per portare a compimento quello che ci siamo prefissati”.
Tanto per dare un’idea del dinamismo che ha contraddistinto questo “signore delle due ruote”, ma anche del trekking, elenchiamo di seguito solo una parte dei suoi viaggi, resi possibili anche dalla pazientissima moglie Anna “Davvero una gran brava fotografa”. Tre volte in Patagonia, 2002, 2003 e 2009 “Quest’ultima con gli ottimi compagni di viaggio Alessandra Ibba e Roberto Biagini”, nel 2004 lo troviamo in Africa, nel Mali a fare trekking, l’anno dopo ritorna in sella e fa il giro dell’Ecuador (1.200 km). Passano due anni ed è la volta della Bolivia. Quindi nel 2010 anche gli Stati Uniti con Utah, Nevada, Wyoming (lo stato meno popolato) e l’immancabile California per complessivi mille chilometri. Nel 2013 è la volta dell’Islanda e lo scorso anno ancora Bolivia.
E per un uomo che per la prima volta in Patagonia, correva l’anno 2002, ha percorso in solitaria 2.200 chilometri, “Per una settimana non ho incontrato nessuno”- precisa, è preventivabile che la fine del lavoro in quelle che una volta erano le Ferrovie dello stato, oggi Rfi, sia un trampolino di lancio verso nuovi orizzonti, lui che comunque ne ha visti moltissimi e in tutte le parti del globo.
Infatti oggi, a 20 giorni dalla pensione fa ancora progetti. “Purtroppo non riuscirò a coronare il sogno nel cassetto, quello di una vita. Andare in sella con la mia Ridley da Lhasa (il trono di Dio, ndr), la principale città del Tibet, a Katmandu, la capitale del Nepal. Il governo cinese, che non amo, di fatto impedisce la libera circolazione e io che della libertà ho fatto un vessillo della mia vita non sono disposto ad andare in un luogo dove vige la costrizione”.
Ma non manca l’alternativa. E se come dice lui se la salute e il fisico reggono, l’India è una delle sue prossime tappe.
“Certo. Il progetto, magari già quest’anno, è quello di andare in sella alla mia amata due ruote da Manali a Leh, capitale dello stato indiano del Ladak. Nel Nord dell’India, sulla catena himalaiana. Saranno 7-800 chilometri e con tre passi a 5.200 metri d’altezza da valicare. Non certo uno scherzo. Ma quando sogni queste mete da una vita, la fatica e lo sforzo vengono messe automaticamente in secondo piano”.
Angelo Orfanò Chiarenza
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