Occupano valli e colline. Ma sono state costruite anche in cima alle montagne o più raramente in riva al mare. Storia delle chiesette campestri in Gallura: tra il 1700 e i primi anni del Novecento se ne contavano addirittura 160. Di queste, 120 risultano ancora aperte al culto, segno di un bisogno di fede sempre molto vivo. Ma oggi come in passato questi luoghi di preghiera non hanno rappresentato solo un simbolo religioso: le chiesette di campagna erano anche centri di aggregazione per le popolazioni che vivevano isolate e il cui spirito conviviale ha continuato nel tempo a essere celebrato attraverso tante feste patronali, accompagnate da pranzi, balli e canti. Negli ultimi anni si sono aggiunti i turisti: le chiesette campestri sono diventate meta fissa dei viaggiatori. Solitari e non.
Sulle origini storiche e le numerose leggende che accompagnano la loro edificazione, sempre voluta da signorotti di campagna o nobili, c’è un ampio resoconto sul sito www.chiesecampestri.it, che offre una dettagliata panoramica su tutti i santuari non cittadini e relative feste. Le quali cadevano sempre in periodi lontani dalla Pasqua perché in Gallura la fede nella resurrezione di Cristo si viveva in modo molto intimo, personale, riservato. Senza alcuna liturgia. Non c’erano celebrazioni o riti religiosi pubblici, a differenza di quanto accadeva per la ricorrenza dei diversi santi a cui venivano dedicate le singole chiesette di campagna.
Tra gli innumerevoli luoghi di culto da visitare in Gallura c’è Santu Silvaru (San Silverio), lungo la costa di Aglientu, una delle pochissime chiesette costruite in riva al mare (nella foto di copertina). La edificarono i pescatori arrivati nel nord Sardegna dall’isola di Ponza. La vista è mozzafiato sulla torre aragonese di Vignola e la costa francese della vicina Corsica all’orizzonte. Un luogo dove si respira romanticismo, specie in primavera, quando i colori e i profumi delle ginestre selvatiche, delle rose marine e il verde intenso della macchia mediterranea fanno da cornice a un panorama da cartolina. È usanza che le coppie si scambino lì promesse di amore o matrimonio. Sempre ad Aglientu molto apprezzata anche la chiesetta di San Biagio.
Per chi preferisce la montagna, ecco Santa Maria delle Neve, sul monte Limbara. Realizzata negli anni Venti del secolo scorso a milleduecento metri di quota, diventa metà di visitatori durante le nevicate. Seppure con colori diversi, anche in questo caso il paesaggio è da favola.
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[metaslider id=”775242″]Per i più devoti è obbligatoria una tappa nella chiesetta intitolata a San Trano, un eremita vissuto in Gallura intorno al Cinquecento e che scelse di isolarsi sui picchi granitici da cui si domina Luogosanto, il paese dove sorge una delle tre basiliche minori della provincia, quella dedicata alla natività della Vergine Maria. A San Trano, territorio che faceva parte del giudicato di Gallura, giunsero i frati francescani che, nel 1230, edificarono una chiesetta in granito sopra una grotta. Si racconta che dentro furono trovate le spoglie dell’eremita.
A Luras, nella vallata del Liscia, c’è la chiesetta di San Pietro. Un tempo pare fosse un piccolo borgo, un insediamento rurale conosciuto col nome di Siffilonis, Poco distanti, gli ulivi millenari e ancora un’altra chiesetta, intitolata a Santu Baltolu di Carana: qui è custodita la statua di San Nicola. A cui era dedicato un vicino luogo di culto i cui ruderi, nei periodi di grande secca, affiorano su un’isoletta del lago artificiale del Liscia.
Nel 1563 il gesuita aragonese Francisco Antonio, dopo un viaggio nel nord dell’Isola, sulle feste nelle chiese campestri scrisse una dura reprimenda al vescovo locale. Il chierico rilevò “molta immodestia e disonestà” da parte dei partecipanti che consumavano pasti, bevevano vino e ballavano sino a notte fonda. Il gesuita bollò le danze come “licenziose e peccaminose”, incompatibili con la sacralità dei luoghi. E non fu il solo a puntare il dito. Il gossip d’antan sugli usi e costumi delle genti che frequentavano le chiesette campestri, attirò anche l’attenzione dell’inquisitore Alonso de la Pena, il quale assistette a una delle feste e annotò, non senza disappunto, che era usanza dei contadini, donne e uomini, prendersi per mano cantando e girando in cerchio. Un politicamente corretto in chiave religiosa per le comunità rurali della Gallura, ma non per i prelati forestieri.
Giampiero Cocco