Rita Auriemma è la mamma di Andrea, un ragazzo down di 27 anni. Lei ne aveva 31 e viveva a Bologna quando partorì il suo primogenito, il 6 agosto dell’88. “Ricordo tutto, perfettamente. Mi dissero che il bambino era mongoloide. Poi lo portarono via, in un altro ospedale. Andrea rischiava di non superare la notte”.
Cominciamo proprio da quel giorno. La nascita.
Prima della nascita ci sono le mamme che fantasticano. Anch’io mi chiedevo se mio figlio sarebbe stato forte come il papà o bello come la mamma. Mi domandavo che occhi avrebbe avuto. Poi mi dissero che era mongoloide.
L’amore scatta a prescindere?
Mi feci un’unica domanda all’inizio: perché è successo a me. Poi sono passata al perché è successo a lui. Rifiutavo il pensiero che Andrea fosse down. Era il mio primo figlio e me lo portarono pure via. Ho provato invidia per le altre mamme che dividevano con me la stanza: avevano i loro bambini accanto ed erano felici.
Andrea quando ha potuto riabbracciarlo?
Cinque giorni dopo. E da allora non ho più smesso di lottare per lui. E di pregare.
La mamma di un bambino down per cosa combatte?
Per la felicità del proprio figlio.
Andrea quando si è accorto di essere down?
Aveva 12-13 anni. Per la prima volta mi chiese cosa volesse dire essere down. Io gli risposi che significava solo essere un po’ più lento rispetto agli altri bambini. Ma, come gli altri, poteva ridere, correre e piangere.
Lei e suo marito Alberto avete altri figli?
Sì, Benedetta, la secondogenita.
Li amate diversamente?
No, l’amore per i figli è uno solo e incondizionato. Cambiamo le attenzioni, questo sì. Se Benedetta ha un problema, me lo comunica. Per Andrea lo devo capire io. Mi basta un suo sguardo. Tante volte, all’uscita di scuola, mi accorgevo dei suoi occhi tristi. Qualcosa era andato storto.
La scuola ha aiutato Andrea?
Solo alle superiori. L’esperienza alle elementari e alle medie è stata disastrosa. Una docente mi disse che non aveva idea di cosa insegnargli, perché non era sicura che lui capisse. Sino a quando non è entrato alle superiori, Andrea a scuola si annoiava. In terza media, una professoressa, che già lo aveva avuto in prima e in seconda, si accorse che sapeva scrivere.
La mamma di un bambino down chi la consola?
Purtroppo nemmeno i medici dove abbiamo portato Andrea per il protocollo sanitario che si segue dalla nascita. In più di un’occasione mi hanno detto che dovessi fare la madre, non il dottore.
In quale occasione, per esempio?
I medici sostengono che prima dei tre anni un bambino down non corre verso la madre, non le va incontro. Io non ci credevo. E ho avuto ragione. Gli mettevo le manine sullo spazzolone, perché si tenesse in equilibrio, e infatti ha cominciato a camminare a 19 mesi. Io non ho mai smesso di parlargli, anche se mi dicevano che forse non mi avrebbe capita. Non è nemmeno vero che per i bambini down il massimo dell’apprendimento è pasticciare un quaderno.
Quanta forza ci vuole?
Io sono soddisfatta di come è diventato Andrea. Sono orgogliosa di questo figlio. Andrea è un ragazzo dolce. E anzi: mi preoccupo perché dice sempre sì, gli va sempre tutto bene.
Quando è rimasta incinta della seconda figlia ha fatto l’amniocentesi?
Sì, ma con una certezza: se anche la seconda fosse stata down, l’avrei tenuta. Se invece le avessero riscontrato una malattia più grave, no: sarebbe significato non avere più tempo per accudire Andrea.
Si è mai sentita commiserata da altre madri?
Io no. E non tollero che ad Andrea gli si dica poverino. Ogni volta che ha sbagliato, magari spingendo un compagnetto a scuola, Andrea è stato ripreso da me e da suo padre.
Ce l’ha fatta a fare di Andrea un ragazzo indipendente?
Relativamente. Non me la sento di farlo uscire da solo. E non perché non ne sarebbe capace. Ho paura che possa incontrare qualche persona mal intenzionata.
La paura del domani?
C’è. Sempre. Io vorrei morire con Andrea. Vorrei morire cinque minuti prima di lui per non dargli mai il dolore di piangere sua madre.
La fede quanto l’ha aiutata?
Tantissimo. A Dio non ho mai più chiesto perché. Gli dico solo: visto che mi hai messo davanti a questa prova, aiutami a superarla.
Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)
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