Gelli e la Sardegna, tra commerci bellici e la leggenda di Piras-Peron

Licio Gelli – l’ex capo della Loggia P2 morto ieri sera, a 96 anni, nella sua casa di Arezzo – aveva forti legami con la Sardegna. Tanto che attribuiva a un sardo il suo primo approccio con la massoneria. Avvenne nel gennaio del 1945, nei mesi tragici dell’occupazione nazista, quando Gelli, allora venticinquenne, era già riuscito a “ripulire” il suo passato fascista e anche la sua adesione alla Repubblica di Salò diventando collaboratore dei servizi segreti inglesi.

Grazie alle benemerenze acquisite per via del cambio di casacca, ottenne un lasciapassare per raggiungere la sorella Enza che, moglie di un ufficiale di Marina, viveva alla Maddalena. Fu là che – come ha raccontato in diverse occasioni – conobbe l’avvocato Marchetti che per primo lo introdusse ai misteri massonici.

Quella di Gelli non fu esattamente una vacanza. Raggiunse la Sardegna con una nave partita da Napoli e approdata a Cagliari dove fu subito sottoposto a un interrogatorio. Ammise di essere stato fascista, ma chiarì di aver rinnegato quel passato. Tanto che, nella natìa Pistoia, aveva informato numerosi partigiani prima che fossero arrestati. Per chiarire in modo ancora più esplicito che aveva cambiato fronte fornì una lista 56 persone che avevano attivamente collaborato con i nazisti e i fascisti.

Alla Maddalena si stabilì nella casa della sorella. Ma non restò inattivo. Riuscì anzi a mettere su un lucroso commercio. Venne infatti a sapere che nell’Isola a causa della guerra era diventato difficilissimo trovare del filo da cucire e le donne se ne lamentavano. Trovò il modo di farselo inviare dalla Toscana e, con l’aiuto della moglie Wanda, che aveva sposato l’anno prima, compose centinaia di rocchetti e cominciò ad andare in giro per i paesi a venderli. Raccontava con nostalgia queste vicende. Orgoglioso di aver trovato anche in quella situazione estrema un modo per fare soldi. Anzi, per accumulare piccoli monili d’oro. Perché era così che il più delle volte gli veniva pagato il filo da cucire.

La permanenza nell’Isola si concluse poco dopo la Liberazione, all’inizio dell’estate del 1945. Rientrato a Pistoia, Gelli dovette faticare ancora un po’ per essere riabilitato. Ci riuscì a avviò il percorso che l’avrebbe portato a diventare (oltre che il depositario dei segreti attorno ad alcune delle più oscure vicende avvenute in Italia del dopoguerra) un imprenditore di successo e anche uno dei massimi esponenti della massoneria internazionale  Fino a iniziare alla massoneria il dittatore argentino Juan Domingo Peron. Vicenda che, in modo stranissimo, molti anni dopo obbligò Gelli e ragionare nuovamente sulla Sardegna. Divenne infatti uno dei testimoni più ricercati dai sostenitori della tesi secondo la quale Peròn non era altro che l’ex emigrato di Mamoiada Giovanni Piras. Teoria davanti alla quale reagiva con divertito stupore.

Parlava invece con ammirazione di Francesco Cossiga che considerava uno dei rari politici onesti e disinteressati. Cossiga (il quale, a dire il vero, da questa stima di Gelli ebbe solo danni) lo considerava un “iperatlantico”, un anticomunista intransigente. Un abile doppiogiochista. Confermò di averlo incontrato in diverse occasioni. Ma non per parlare di Sardegna. Gli domandò se poteva fare qualcosa per alcuni italiani che erano nella lista dei desaparecidos argentini. Gelli non fece, o non poté fare, niente.

N.B.

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