Alessandro Bergonzoni, attore ed autore, un vulcano della parola che gioca continuamente sul senso comune dei significati. Venerdì sera sul palco di Piazza Sant’Antriocu, a Gavoi, ha dilettato il pubblico diventato ostaggio delle sue trappole di sensi doppi e tripli.
Stimola alla riflessione, Bergonzoni, vuole che il pubblico sia parte attiva della scena del pensiero che sviluppa in maniera del tutto originale sul palco. Comico, istrionico, funambolico, provocatore dell’azione, si immerge dentro un turbinio di giochi linguistici cambiando volutamente il senso delle cose. Il risultato, dichiarato, voluto, ottenuto è quello di approdare ad un piano di significato in cui poter spiazzare sempre le attese del pubblico dalle proprie posizioni accomodanti già acquisite. “Io non sono uno scrittore. Sono uno scritturato. È la scrittura che decide cosa fare di me”. “Il grande lavoro – dice – non è sentirsi creatori. Ma sentirsi delle antenne. Sentirsi percettori. Dobbiamo captare le cose che diciamo”.
Berzongoni, in questo suo spassoso modo di provocare l’ascolto del pubblico, ha però uno scopo ben preciso. Richiamare la platea ad agire, a prendere posizione, con una coscienza di protagonista in questa società schizofrenica che tende sempre a separare le cose. “Citiamo sempre Socrate, Euripide, Seneca, ma tu cosa dici? Dante o Petrarca avranno detto almeno una volta: ‘passami il sale? Nessuno li cita mai per ‘passami il sale’…”.
“Le cose sono unite – dice Bergonzoni – dobbiamo creare nessi. Perché tra le leggi fatte per i carcerati e la pietà di Michelangelo c’è un nesso”. Il suo sguardo agli ultimi, ai carcerati, è frutto del lavoro fatto nel teatro sociale: “Noi siamo le vittime, diventa tu la vittima. Come si fa a vivere in quattro metri per quattro? Io sono stato in carcere (ci ha lavorato ndr) e lo dico. Ci sono altri che ci sono stati e non lo dicono”.
“Dobbiamo fare il salto del sovrumano. Lo straordinario in questa società non è quello che ti pagano. Straordinario è fare tante cose contemporaneamente, è questa l’arte contemporanea. Fai il chirurgo e poi torni a casa a fare due ore il muratore. Sennò che straordinario è?”.
Impedisce perfino al pubblico di applaudire, per tutto lo spettacolo interrompe ogni principio di applauso: “Ecco, volete sfogare le vostre tensioni, le vostre frustrazioni, in un applauso liberatorio. Quand’è che io sentirò un applauso occupatorio? Quegli applausi lì riservateli ad altri, sono gli stessi applausi che fatte per Arisa”.
E poi esorta: “Non andate a casa, non dovete andare a casa, che è un posto sicuro”. E conclude in maniera teatralmente perfetta: “Nel ringraziare L’isola delle Storie di Gavoi per l’invito che mi avete fatto voglio lasciarvi con un pensiero…”. E se ne va.
Davide Fara