E.On, allarme per le ceneri di carbone. Migaleddu: “Rischio radioattività”

Un fiume sotterraneo di oli inquinanti profondo un metro e mezzo nasce dai serbatoi della centrale E.on corrosi dall’orimulsion, un derivato bituminoso del petrolio ricco di vanadio, zolfo e nichel che lì non doveva essere stoccato. Ma tra gli inquinanti rinvenuti nell’impianto di Fiume Santo, c’è molto altro. Anche un manto di ceneri spesso tre metri, le polveri di carbone disseminate in anni di combustione. In un tale caos di veleni fuori controllo potrebbero anche apparire un problema minore, se non fosse che contengono elementi radioattivi.

Lo stabilisce la Comunità Europea per l’energia atomica (Euratom) e lo ricorda il presidente Isde – Medici per l’ambiente Sardegna, Vincenzo Migaleddu. “Sebbene la radioattività sia diffusa in natura – dice – la produzione di energia da carbone innesca un’abnorme concentrazione di radionuclidi naturali come l’uranio 238 e 235, il torio 232 e il radon, sia nei residui della combustione che nelle emissioni”. E malgrado non facciano riferimento al problema della radioattività, la conferma della pericolosità di polveri e ceneri di carbone arriva anche dalle intercettazioni riportate oggi dall’Unione Sarda. “Speriamo che non vengono fuori le cose della polvere, di quel carbone, ci sono dei momenti in cui ci hai un mare di polvere”, dice il vicedirettore della centrale Livio Russo al responsabile del personale Paolo Venerucci.

Ma andiamo con ordine. “La pericolosità del processo di concentrazione di isotopi radioattivi è ampiamente riconosciuta dalla normativa europea, che non a caso impone agli stati membri l’adozione di piani di radioprotezione verso i lavoratori delle centrali alimentate a carbone e la cittadinanza esposta ad emissioni e ceneri. Piani, questi, su cui la Regione è terribilmente in ritardo”, spiega Migaleddu. “Specie in un’area come quella di Porto Torres, dove ai radionuclidi del carbone si aggiungono le palte fosfatiche ovvero i rifiuti della vecchia lavorazione dei fertilizzanti al fosforo, anch’essi materiali radioattivi, presenti nell’area industriale dell’Eni”, aggiunge il presidente Isde.

In altri termini, nel Sito d’interesse nazionale di Sassari- Porto Torres, già noto per benzene e cloruro di vinile monomero centinaia di migliaia di volte oltre il limite consentito e per la mortalità per tumore al polmone nel sesso femminile doppia rispetto a quella rilevata a Taranto, si aggira anche lo spettro della radioattività. “Tutto parte dalle caldaie, dove le elevate temperature spingono in atmosfera attraverso le ciminiere soprattutto il Radon e i radionuclidi gassosi, mentre l’Uranio e il Torio, più pesanti, si fermano nei filtri o finiscono nelle ceneri di fondo, dove sono presenti con una concentrazione doppia rispetto al prodotto di partenza”, spiega il presidente Isde.

Va però detto che c’è carbone e carbone. Ovvero che i livelli di radioattività variano sensibilmente a seconda della provenienza del fossile: si va dal carbone cinese, il più ricco di torio e uranio, seguito a ruota da quello sudafricano fino a quello colombiano, il ‘meno’ pericoloso, rivela uno studio del 2007 dell’Università di Pisa. Ma è pur vero che “i valori medi fanno in ogni caso scattare l’allarme”, chiarisce Migaleddu. E aggiunge: “Secondo la normativa UE, le ceneri di carbone dovrebbero essere considerate materiali “Tenorm”, (Technological enanced naturally occurring radioactive materials), ma in Italia vengono avviate in discarica o nei cementifici”.

Quando i radionuclidi prendono questa seconda strada, alla fine del ciclo di ‘recupero’ finiscono dritti nel cemento utilizzato in edilizia. “Con queste ceneri si fa di tutto tranne che controllarle” è l’amara considerazione del presidente Isde – Sardegna.

L‘altro dato preoccupante è che cementifici e discariche sarde smaltiscono circa 300.000 tonnellate l’anno di ceneri. Altro che isola denuclearizzata.

Solo una piccola parte delle ceneri prodotte in loco attraversa il Tirreno. Dalla centrale E.on di Fiume Santo, l’ultimo carico di cui si ha notizia è partito a fine marzo in direzione Tito Scalo, provincia di Potenza, dove sorge un cementificio autorizzato a smaltire 3.000 t/a di ceneri di carbone.

“Oltre alle centrali a carbone, anche altri settori industriali portano alla concentrazione di radionuclidi, compresa la ricerca e i processi secondari pertinenti”, si legge nella normativa europea. A partire dalla”produzione di gas e petrolio, passando per quella di energia geotermica e arrivando alla lavorazione della bauxite e alla fusione di stagno, piombo e rame”. Ragione per cui, per Migaleddu, “gli assessorati all’Ambiente e alla Sanità dovrebbero introdurre elementi di carattere sanitario nella valutazione di impatto ambientale dei nuovi progetti; ciò significa mandare finalmente in pensione conoscenze vecchie e sorpassate, attingendo a nuove e più attuali competenze”.

Piero Loi

 

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