Oristano, dopo sette secoli le monache Clarisse lasceranno il monastero

Sono passati sette secolo da quel 1343, quando il giudice Pietro d’Arborea riceveva da papa Clemente VI la concessione “per grazia speciale” per la fondazione di un nuovo monastero a Oristano. Settecento anni in cui le monache Clarisse Cappuccine, votate all’ordine di San Francesco e Santa Chiara, hanno vissuto in clausura ma senza mai abbandonare davvero il contatto con la città di Oristano. Le suore lasceranno a breve la città: a comunicarlo questa mattina, con una breve nota stampa, è il vescovo di Oristano don Ignazio Serra, ma le indiscrezioni su un trasferimento prossimo delle monache erano note già da tempo.

“Su disposizione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata  le monache saranno trasferite al Monastero di Cagliari – scrive il vescovo. – L’età avanzata di diverse di loro, unitamente alle precarie condizioni di salute delle altre, non consentono più una vita comunitaria autonoma del suddetto monastero”.

Secondo quanto prevedono le norme sulla vita consacrata le monache oggi verranno trasferite nel monastero più vicino a quello di partenza, ovvero quello di Cagliari. Le 7 religiose lasceranno presto le stanze del monastero medievale, dichiarato nel 1948 monumento nazionale, anche se non si sa con esattezza quando. Una decisione storica, considerato che l’edificio è stato fondato secondo la leggenda dieci anni dopo la morte di Santa Chiara e ‘rifondato’ nel 1343: ben sette secoli di vita, in cui la presenza delle Clarisse è stata un punto di riferimento spirituale importante per la città di Oristano, separata solo dall’antichissima ruota che serviva a far da tramite tra il mondo di fuori e la vita dentro il convento.

La nota del Vescovo Serra, però, non parla di trasferimento definitivo. “Accompagniamo con la preghiera le nostre monache, che, in spirito di obbedienza e umiltà, lasciano il Monastero di Via Lamarmora, in cui hanno sempre vissuto in comunione di preghiera e di ideali con la comunità diocesana arborense, nella speranza che possano ritornare, a Dio piacendo, in un prossimo futuro”.

Francesca Mulas

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