di Ilenia Mura
Dal Vermentino di Gallura al Carignano del Sulcis: “Ma anche al Nasco se andiamo sui bianchi, alla Vernaccia di Oristano e al Nuragus“. Perché la Sardegna “è una terra di grandi vitigni e grandi vini”. Per produrlo? “Ci vuole tecnica, studio e passione”. E se a dirlo è uno dei più autorevoli enologi del panorama internazionale, bisogna crederci.
Lui è Riccardo Cotarella, lo abbiamo intervistato. Presidente Assoenologi dal 2013 e riconfermato per il triennio 2022-2024. Segno che la più importante associazione di enologi ed enotecnici in Italia, vanta quasi 5mila soci, non ha alcuna intenzione di rinunciare ad una così autorevole guida. Nato a Terni, classe 1948, dopo gli studi in Enologia, in Veneto, nel 1979 fonda con il fratello Renzo, anche lui enologo, la prestigiosa azienda vitivinicola umbra Falesco oggi ribattezzata “Famiglia Cotarella“. La Sardegna? “I suoi vini – afferma l’enologo – stanno avendo un riscontro molto favorevole
Professor Cotarella, come nasce un buon vino? Il vitigno è importante, ma l’enologo può fare la differenza?
“Un buon vino è il frutto di molte cose. Nasce grazie al territorio, all’ottima conduzione dei vigneti, dalle tecniche che l’enologo mette in campo in cantina. Ma, principalmente, un vino diventa un grande vino se poggia le sue basi su un progetto figlio di uno studio tecnico-scientifico accurato e se è figlio della passione e dell’amore per questo mondo e, in tal senso, chiamo in causa il produttore. Un produttore innamorato e appassionato del suo progetto solitamente trova la chiave per realizzare un buon vino, affidandosi ovviamente a bravi enologi, che certamente fanno la differenza. E sull’isola ce ne sono molti, capitanati dall’ottimo Mariano Murru, presidente di Assoenologi Sardegna“.
Da profondo conoscitore qual è del pianeta vino e anche come imprenditore, oltre che in qualità di presidente Assoenologi da dieci anni, che consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere questa affascinante carriera?
“Il primo consiglio è quello di intraprendere la professione, la più bella al mondo. E lo dice uno che in verità, da ragazzo, voleva fare tutt’altro, ma in qualche modo fui costretto da mio padre a diventare enologo ed è stato uno dei regali più belli che mi abbia mai fatto. Detto questo, occorre grande passione e ovviamente tanto studio”.
Lei è un grande comunicatore oltre che un enologo apprezzato in tutto il mondo. Quali sono le qualità, oltre che le competenze richieste, per diventare un enologo di fama internazionale? O più semplicemente per diventare enologo dell’anno?
“Il sacrificio, come in ogni professione, è alla base di tutto. Certamente serve avere una preparazione robusta in enologia, ma occorre abbinare molte altre conoscenze. Solitamente le persone curiose, mosse dal desiderio della conoscenza e della sperimentazione, riescono a esprimersi meglio nella propria professione. Si arriva in alto facendo un gradino al giorno. Il vero segreto sta nel non sentirsi mai arrivato. Io stesso, alla mia età e dopo 56-57 vendemmie, devo sicuramente ancora apprendere molto in questa professione e ho una consapevolezza: il vino perfetto non esiste, ma intimamente inseguo il sogno di poterlo, un giorno, produrre”.
Quali sono i punti di forza e i punti deboli del vino italiano rispetto a quello di Francia e Spagna, per esempio?
“Il vino italiano non deve assolutamente invidiare nulla ai vini francesi e spagnoli. Abbiamo vini di assoluta eccellenza e unici al mondo grazie a una varietà di terroir che solo l’Italia può vantare. Dal Trentino a Pantelleria, dal Veneto alla Sardegna o Sicilia, il nostro Paese esprime zone incredibilmente vocate alla viticoltura e questa è una ricchezza che gli altri non hanno. Forse rispetto alla Francia siamo un po’ indietro nel saper comunicare al meglio i nostri prodotti”.
Parliamo di vini sardi: c’è un punto di forza e un punto debole a suo avviso?
“I vini sardi sono unici e in qualche modo irripetibili. Sono figli di una terra meravigliosa e questo è il loro punto di forza. Il microclima che troviamo in Sardegna non lo ritroviamo altrove e di conseguenza, anche i vini diventano a loro modo esclusivi“.
Qual è il vino sardo più conosciuto oltre Tirreno? E perché?
“Il Vermentino e il Cannonau nell’immaginario collettivo sono sicuramente tra i vini più conosciuti e tra quelli più apprezzati, ma la Sardegna, dalla costa all’entroterra, vanta una grande varietà di vitigni che permettono di produrre grandi vini. Pensiamo al Carignano, al Monica, al Bovale e al Cagnulari, ma anche al Nasco se andiamo sui bianchi, alla Vernaccia di Oristano e al Nuragus. Vini negli ultimi anni stanno riscuotendo un riscontro molto favorevole“.
Può confermare che il miglior Vermentino è quello gallurese?
“Lei mi vuole far inimicare mezza Sardegna. Al di là delle battute, la Gallura è un terroir incredibile che esprime un Vermentino unico, ma la storia ci insegna e anche la mia personale, che possiamo realizzare vini eccellenti anche in aree che pensavamo meno vocate per un vitigno rispetto a un altro”.
Lei è anche un produttore. Ama il Merlot, ma se dovesse investire in Sardegna, quale zona dell’Isola sceglierebbe?
“Intanto per indole e mia natura amo tutti i vitigni e non solo il Merlot. Tornando alla sua domanda, investirei in ogni singolo metro quadrato. La Sardegna è una regione incredibile e come dicevo prima, unica nel suo microclima, che varia dal nord al sud dell’isola. Chi decide di produrre vino qui non può che avere successo, sempre se la condizione dei vigneti e della cantina sia fatta con tecnica, scienza e tanta passione“.