Alimentare il turismo interno, quando sarà possibile e, in una fase successiva, consentire gli arrivi in Sardegna attraverso una forma di passaporto sanitario. In particolare, porti e aeroporti dovranno avere piattaforme per l’esecuzione rapida di tamponi, per tenere sotto controllo la diffusione del Covid-19. È l’idea del presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, per far ripartire il mercato delle vacanze sull’isola. “Intanto, dobbiamo aiutare il comparto a sopravvivere”, ha premesso nella videoconferenza quotidiana. Sugli arrivi, “esistono una serie di variabili da considerare”. Tra queste, “la situazione di lockdown nelle altre nazioni del mondo che rappresentano tradizionali bacini di provenienza. Se non c’è lo sblocco in queste nazioni, non possiamo pensare agli arrivi”.
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Intanto è pronto il piano della Regione per acquisire alberghi dove alloggiare le persone positive al Covid-19 e asintomatiche e Solinas precisa: “Lo attiveremo solo se c’è la certezza del pieno utilizzo. Un uso parcellizzato, infatti, determinerebbe una spesa che inciderebbe non poco sulle finanze della Regione”. Il governatore mette in evidenza, quindi, la questione della copertura finanziaria. Anche perché, “ciò che la Regione ha fatto finora, l’ha fatto con proprie risorse: lo Stato non ha ancora stanziato nulla, né ci ha rimborsato quello che abbiamo dovuto anticipare per le cure sanitarie, l’assunzione di personale, la fornitura di dispositivi di protezione individuale, l’acquisizione di ventilatori”.
Insomma, “dobbiamo essere efficaci ed economici nell’assumere le scelte”. Riguardo al personale medico, “merita tutto il nostro sostegno e merita un discorso a parte: stiamo ultimando il calcolo di quanti intendono usufruire dell’albergo, per evitare il rischio di contagio nelle proprie case. Ultimata la verifica, prenderemo le strutture necessarie per garantire i posti letto”.
Riguardo alle riaperture, il governatore ha spiegato perché non ha consentito di riaprire librerie e negozi di abbigliamento per bambini, in deroga al dpcm del 10 aprile. “È una scelta fatta dopo un confronto con il comitato tecnico-scientifico – ha chiarito -. D’altra parte si tratta di esercizi che già stavano operando con consegne a domicilio, e poi conoscendo il mercato tradizionale di quegli esercizi commerciali, sarebbero stati non tanto la meta di numeri così grandi di persone, quanto la giustificazione per tante altre per poter uscire di casa”. Invece, “in questo momento la comunità scientifica ci dice di mantenere fermo, per almeno due settimane, questo assetto”.