Prevenzione, medicina sul territorio e meno burocrazia per favorire il trattamento precoce del coronavirus. L’appello arriva da un gruppo di circa centomila medici di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri sparsi in tutta Italia, nato in occasione dell’epidemia. Si tratta di um team che sta scambiando informazioni sull’insorgenza della malattia causata dal coronavirus, sul come contenerla, sul come fare, a chi rivolgersi, come orientare la terapia, come e quando trattarla. Un lavoro che ha permesso di giungere a una conclusione: i pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio, prima che si instauri la malattia vera e propria, ossia la polmonite interstiziale bilaterale, che quasi sempre porta il paziente in Rianimazione.
Per fare questo, però, è necessario un passaggio ulteriore rispetto alla dotazione di dispositivi di protezione individuale e tamponi per i medici e il personale sanitario e tutti gli operatori che “spesso hanno sacrificato la loro vita, pur di dare una risposta ai pazienti, non si sono tirati indietro, nessuno”, scrivono i medici in una lettera. Ma questo non basta perché è necessario, per non vanificare gli sforzi e l’abnegazione di medici e personale sanitario, “rafforzare il territorio, vero punto debole del Servizio sanitario nazionale, con la possibilità per squadre speciali, di attivare immediatamente le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) in tutte le Regioni, in maniera omogenea, senza eccessiva burocrazia, avvalendosi dell’esperienza di noi tutti nel trattare precocemente i pazienti, anche con terapie off label (quindi anche con medicinali sperimentali), alcune delle quali peraltro già autorizzate dall’Aifa (Agenzia italiano del farmaco)”.
Aggredire il problema alla radice, dunque, potrebbe essere fondamentale per evitare ulteriori contagi e sovraffollamento negli ospedali: “Siamo giunti alla conclusione – scrivono i medici – che il trattamento precoce può fermare il decorso dell’infezione verso la malattia conclamata e quindi arginare, fino a sconfiggere l’epidemia“. Così il riconoscimento dei primi sintomi, anche con tamponi negativi (come è stato constatato nel 30 per cento dei casi) è di pura pertinenza clinica, e pertanto “chiediamo di mettere a frutto le nostre esperienze cliniche, senza ostacoli burocratici nel prescrivere farmaci, tamponi, radiografie e tomografia computerizzata, ecografia polmonare anche a domicilio, emogasanalisi, tutte cose che vanno a supportare la clinica, ma che non la sostituiscono”.
Si tratta di una richiesta che supera schieramenti politici o appartenenze sindacali, fatta come medici che “desiderano ed esigono di svolgere il proprio ruolo attivamente e al meglio, dando un contributo alla collettività nell’interesse di tutti. Lo chiediamo perché tutti gli sforzi fatti finora col distanziamento sociale, non vadano perduti, paventando una seconda ondata di ricoveri d’urgenza dei pazienti tenuti in sorveglianza attiva per 10-15 giorni, ma che non sono stati visitati e valutati clinicamente e che ancora sono in attesa di tamponi. La mappatura di questi pazienti, asintomatici o paucisintomatici, e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il ” lock down”.