È una storia come tante. Non può andare a scuola per via del coronavirus. Sta a casa, a Sassari, e fa lezione di storia a distanza. Sveglia, caffè, Skype e via: spiegazione o verifica. Come tanti altri professori ha dovuto imparare su due piedi qualche rudimento di didattica a distanza e di video-chat. Solo che Nicola Seu, 42 anni, sassarese, insegna in Cina. A Pechino, precisamente, alla Beijing New Oriental Foreign Language School at Chang Ping, una scuola internazionale bilingue organizzata sul modello americano: campus, residenze studentesche, impianti sportivi, spazi aperti. Un’oasi di occidente nel cuore della capitale cinese. La prima sveglia del professore suona abbastanza normalmente da consentirgli una vita in famiglia in quarantena e appuntamenti virtuali con gli amici. L’altra suona a mezzanotte. Il tempo di mettere su il caffè e si lavora sino alle sei del mattino. Due vite e un’esistenza appesa alla doppia apprensione per quanto succede in quello che è sempre stato il suo mondo, la Sardegna, e quello che lo è diventato dal 2015, Pechino.
“Ci sono finito casualmente, dopo il Master&Back ho dovuto cercare lavoro altrove e l’ho trovato in Cina”, racconta Seu al’Ansa. “L’inizio è stato molto difficile, la differenza culturale è piuttosto grossa, pensano e vivono in maniera molto diversa, per loro sei e sarai sempre uno straniero”. Non semplice, tanto più che “anche gli studenti sono quasi tutti cinesi, a parte alcuni americani e sporadici casi di europei”. Quando il coronavirus ha travolto la Cina – “ma Pechino è stata colpita meno di altre città”, afferma – era all’estero per un breve soggiorno. “Hanno chiuso le scuole e allora ho deciso di proseguire per Sassari – prosegue – dove mi è arrivata la comunicazione per tutti gli insegnanti: state dove siete”. Nicola Seu chiede notizie ogni giorno a studenti e colleghi, quella ora è casa sua e non vede l’ora di tornarci. “Significherebbe tornare alla normalità – spiega – e poi, ormai, lì mi sono ritagliato un mio spazio, Pechino è una città molto grande e ricca di opportunità, con i colleghi abbiamo creato una nostra piccola comunità, ma anche quelli cinesi sono molto in gamba”. Resta il problema della lingua. “La mia conoscenza del cinese è a livello di sopravvivenza”, scherza. Passato il Coronavirus, ci sarà tempo per migliorare.(Ansa)