Cecilia Strada: “Servitù militari? Ingiusto scegliere tra salute e lavoro”

Da vent’anni a oggi Emergency ha curato oltre sei milioni di persone in 16 paesi. Ha portato in tutto il mondo ospedali, attrezzature, medici, professionisti, ha messo in piedi progetti umanitari, campagne informative, sensibilizzazione, assistenza per vittime di guerra e povertà. Afghanistan, Iraq e Africa centrale i territori dove maggiormente ha concentrato la sua attività ma c’è tanto da fare anche in Italia. E la Sardegna non è da meno: il tema della guerra con le servitù militari e quello dell’accoglienza ai migranti sono al centro di due incontri nell’ambito dell’incontro nazionale di Emergency che si tiene a Cagliari tra oggi e domenica. Tra i relatori c’è Cecilia Strada, presidente dell’organizzazione non governativa nata nel 1994 da un’idea dei suoi genitori Gino Strada e Teresa Sarti.

Uno degli incontri a Cagliari si intitola ‘Guerra in casa e servitù militari’. Lei conosce la situazione sarda? Abbiamo il 60% delle servitù militari italiane, qualcuno continua a dirci che si tratta di una risorsa economica. 

Non si dovrebbero mai costringere le persone a scegliere tra il lavoro e la salute. Portano lavoro? Dovremmo capire quanto, e comunque il lavoro a discapito della salute non è mai una buona scelta. Purtroppo è un tema che riguarda non solo le servitù militari ma altre realtà come l’Ilva, considerare i rischi per le persone come il prezzo da pagare per lavorare è una cosa meschina e sbagliata. Per me che lavoro in mezzo alla guerra ogni giorno la questione delle servitù militari è ancora più grave perché non si può chiedere a qualcuno di lavorare in un clima malsano e nel contesto della produzione della guerra: quello che si fa in Sardegna è provare nuovi modi di fare la guerra, si testano nuovi strumenti e armi senza l’obbligo di dire ai cittadini cosa si sta testando. Ecco perché abbiamo scelto di organizzare questo incontro di Emergency a Cagliari, siamo qui per dare voce alle tante persone che da anni lavorano su questi temi. Non ci piace la guerra né quando viene fatta in Afghanistan né quando viene fatta in Sardegna.

Parliamo di migranti:con un post su facebook ha risposto pubblicamente a quelli che dicono ‘Aiutiamoli a casa loro’. Voi di Emergency portate davvero sostegno a casa loro con progetti e assistenza, ma le persone comuni nel quotidiano cosa possono fare?

Intanto studiare, informarsi, raccogliere dati, capire che l’invasione non è qui: la maggior parte dei rifugiati nel mondo non sta in Europa ma in Giordania, Libano, Pakistan. E poi possono collaborare con le organizzazioni che sul territorio si occupano dei diritti di queste persone, magari anche con un sostegno economico o con un po’ di volontariato.

In Sardegna ospitiamo un migliaio di persone in attesa che venga riconosciuto loro lo status di rifugiati. Un migliaio su un milione e seicentomila sardi fa un migrante ogni 1600 persone, una cifra davvero irrisoria. Eppure anche qui il populismo anti-immigrazione di Salvini sta facendo presa. 

C’è un brutto clima in Italia in questo momento: chi fa fatica ad arrivare a fine mese ha sempre bisogno di qualcuno con cui prendersela. Tendenzialmente la ragione della crisi in Italia non sta su un barcone che arriva in Sardegna o a Lampedusa, sta a Roma in chi ci governa. È lo stato che dovrebbe occuparsi dei propri cittadini, è allo Stato che bisogna bussare con forza per chiedere la risoluzione dei problemi. C’è poca o a volte cattiva informazione sul tema, certi fattori sono infiammabili e poi arriva qualcuno che accende il cerino e divampa la guerra tra poveri. Si può reagire cercando di fare un’informazione corretta, basata sui fatti e sul racconto delle storie delle persone che arrivano. Generalmente si ha paura di persone che non si conoscono, ecco perché dobbiamo iniziare a  conoscerci. Noi continueremo a portare avanti con più forza, visto il clima, la nostra battaglia culturale per provare insieme a farci passare la paura.

Francesca Mulas

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