Carceri sarde sovraffollate, numeri drammatici: “A Bancali 400 detenuti su 500 usano psicofarmaci”

Quattrocento detenuti tra i 500 ospiti della Casa circondariale di Bancali fanno uso di psicofarmaci. È soltanto uno dei dati drammatici emersi nel corso del convegno “Tutela della salute negli istituti penitenziari del Nord Sardegna: peculiarità e criticità”, all’Aula udienze penali della Corte d’Appello di Sassari

“Il diritto alla salute per i detenuti è stato più volte posto dal legislatore nazionale – ha detto Giommaria Cuccuru, presidente del Tribunale di sorveglianza di Sassari, in apertura di lavori -. La legge prevede che il Servizio sanitario nazionale deve operare all’interno degli istituti di pena, e deve garantire ad ogni istituto un servizio rispondente alle esigenze della salute dei detenuti. Questo che deve deve approntare per i detenuti strutture idonee a soddisfare il loro specifico bisogno di salute. Nella stragrande maggioranza dei casi, i detenuti provengono da strati sociali marginali, si portano dietro malattie trascurate nel tempo, non dispongono di risorse materiali per ricorrere all’assistenza privata e spesso neppure di un valido supporto familiare. Occorre dunque fare di più”.

Il focus, che riguardava in particolare le realtà del Centro-nord Sardegna (Sassari, Alghero, Tempio Pausania, Nuoro e Mamone), in realtà ha mostrato un quadro che è analogo anche nel resto dell’Isola. “La detenzione è in crescita, in Italia e in tutto il mondo, anche a causa delle norme più restrittive introdotte negli ultimi anni e del dilagare del mercato delle droghe”, ha ricordato Sandro Libianchi, promotore dell’iniziativa, medico e presidente di Co.N.OS.C.I. – aps, il Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane. “Da uno a due terzi delle persone detenute sono direttamente o indirettamente legate all’uso di sostanze stupefacenti. La maggior parte dei detenuti è di sesso maschile (94%) ma negli ultimi vent’anni il numero delle donne in carcere è cresciuto in maniera più evidente (+35%) rispetto agli uomini (+16%). I detenuti fanno parte della nostra comunità: proteggerli, in chiave di reinserimento sociale, significa anche proteggere noi stessi. Ecco perché è fondamentale aiutarli a recuperare e a non cadere nella recidiva. In Italia oggi contiamo circa 62mila detenuti (2.224 in Sardegna, dove si registra un indice di sovraffollamento del 97,70%: siamo arrivati, cioè, quasi ai limiti della capienza), ma i posti disponibili sono 47 mila: ecco perché le risorse messe a disposizione dallo Stato sono insufficienti”.

“Per dare la dovuta assistenza ai malati in carcere, non bastano le leggi: occorre un approccio sinergico fra il livello della decisione politica, il lato medico e la magistratura per governare le complessità”, ha detto Armando Bartolazzi, assessore regionale della Sanità. “L’obiettivo comune deve essere la tutela della salute. Occorre andare verso un sistema che prenda in carico questa utenza per tipologia di cura: tossicodipendenze, disagio mentale, patologie comportamentali o malattie infettive. In questo modo è possibile organizzare la risposta sanitaria con una presa in carico che veda come obiettivo non solo il fine pena ma il trattamento del paziente detenuto a 360 gradi, garantendo la cura e il reinserimento sociale dell’individuo. Per fare questo, bisogna rafforzare il legame fra i livelli di gestione territoriale della sanità e le realtà penitenziarie dell’Isola. Penso anche alle prestazioni aggiuntive specialistiche da erogare, là dove possibile, all’interno del carcere. Le sezioni carcerarie in ospedale ci sono, ma gli spazi vengono ancora occupati da altre discipline. Occorre una maggior consapevolezza e un’assunzione di responsabilità verso i pazienti detenuti, spesso in condizioni di fragilità estrema”.

«Tutta la comunità penitenziaria della Sardegna avvertiva la necessità di un confronto pubblico come questo», ha commentato Irene Testa, garante regionale dei detenuti. “La carenza d’organico e le situazioni che ledono i diritti umani sono sotto gli occhi di tutti. Parliamo di persone in buona prevalenza malate, che chiedono assistenza ma la vedono negata. La sanità in carcere è quasi del tutto assente. Uno psichiatra per 700 detenuti è insufficiente: quanto tempo può dedicare al singolo disagio? Non accade soltanto nelle Case circondariali di Bancali e Uta, che sono le più affollate, ma anche nelle realtà più piccole. In alcune strutture arriviamo a un sovraffollamento del 130%, eppure le colonie penali sono semivuote e pure decadenti. La situazione sanitaria è critica sia all’interno che all’esterno delle carceri; tuttavia, in un istituto di pena si verificano situazioni complesse e spesso molto gravi: con una certa frequenza, alcuni detenuti ingeriscono batterie, altri si producono ferite, a causa di disagi psichici. E talvolta qualcuno si toglie la vita (a ieri si contavano 75 casi di suicidi in Italia: un record storico, ndr). Il personale penitenziario è carente, non può far fronte a tutto. Ecco perché questa è una emergenza nell’emergenza”.

Marco Porcu, direttore della Casa circondariale di Uta (sino allo scorso 10 giugno ha diretto anche la struttura di Bancali), ha posto infine l’accento su un’altra grave criticità: la formazione specifica del personale penitenziario, chiamato ad affrontare situazioni di grande complessità ma spesso non messo in condizioni di operare. Nel suo intervento conclusivo Sandro Libianchi ha ipotizzato la Sardegna quale possibile laboratorio di sperimentazione verso un modello operativo che conglobi ed integri, finalmente, tutte queste funzioni nell’ottica di una presa in carico globale della persona detenuta che sia così facilitata a rientrare nel suo territorio di appartenenza e a riconnettersi con i suoi familiari. La Sardegna in virtù del suo stato di Regione autonoma, della grande disponibilità delle autorità giudiziarie e penitenziarie locali e anche della ricca varietà di tipologie penitenziaria (case circondariali, case di reclusione, colonie agricole con produzioni, alta sicurezza, ecc.) offre un terreno fecondo per la costruzione di un modello esportabile. 

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