Così nel 2008 finì la devastante corsa all’oro della Marmilla

Il nome è lo stesso, la qualifica pure: Ugo Cappellacci, professione presidente. Della Sardinia Gold Mining prima, della Regione Sardegna poi. E con queste credenziali appare chiaro come l’obiettivo non potesse che rimanere il medesimo: scavare. Tra il 2001 e il 2003 nelle colline di Serrenti e Furtei in cerca di pepite d’oro, il 20 luglio del 2009 nei meandri del bilancio regionale con il prelievo di 150mila euro dal fondo «Imprevisti» per evitare che i bacini di cianuro, mercurio e altri metalli pesanti lasciati in eredità dal fallimento della Sgm possano inquinare i terreni circostanti e soprattutto le preziose falde acquifere che alimentano il territorio. La Regione chiarisce peraltro come si tratti di somme anticipate e, come vuole la prassi, andranno recuperate a valere sulla società concessionaria. Che nel frattempo è fallita: a dicembre 2008 l’annuncio, a gennaio 2009 la fuga. Tutto finito: la Sgm è morta, la bomba ecologica no.

Risolvere il problema? Non ha prezzo. O forse sì. Attenzione: nella delibera che dà il via libera all’esborso dei 150mila euro firmata da Ugo Cappellacci non si parla di bonifica, ma del mantenimento sotto controllo dell’attuale, critica situazione. Perché secondo fonti più che attendibili, per far dimenticare al territorio violentato questa brutta avventura – ammesso sia possibile – occorrono svariate decine di milioni. Chi li sborsa? Sulla carta, il piccolo fastidio spetterebbe alla Sgm. Ma qui la questione si complica, perché si parla pur sempre di una società per cui è già stato cantato il de profundis: morta e sepolta. Seguirà dibattimento processuale. Nel frattempo, l’ingrato compito tocca alla Regione.

Il contrappasso. Per capirsi: da un lato Cappellacci presiede per tre anni la società considerata responsabile dello scempio in atto e a distanza di un lustro e poco più – stavolta nell’ingrato ruolo di «parte offesa», malgrado sia bene ricordare che la Regione detenga il 10% del capitale sociale della fallita Sgm – si trova costretto a firmare una delibera con cui tutti i cittadini sardi, con le tasse versate alla Regione, devono accollarsi l’onere di tenere a bada migliaia di litri di sostanze venefiche abbandonate sulla terra del Medio Campidano dalla Sardinia Gold Mining. Lo conferma la delibera firmata dal presidente della Regione il 20 luglio del 2009, quando si ricorda come il curatore fallimentare della Sardinia Gold Mining abbia indicato nel 30 giugno dello stesso anno il termine di «cessazione della custodia e gestione delle attività funzionali a garantire condizioni di sicurezza nei cantieri minerari». A quel punto il presidente Cappellacci ha presentato un’apposita istanza al tribunale fallimentare per far sì che il termine del 30 giugno fosse prorogato di 90 giorni. Richiesta accordata.
La contropartita? Denari pubblici. In sostanza: la «gestione» del sito rimane in capo all’organigramma ereditato dal Sgm ma i soldi, i famosi 150mila euro, li caccia la Regione. Prima però avrebbe dovuto stilare il cosiddetto «Piano di caratterizzazione». Che non c’è. La giunta, informata dal vicepresidente Sebastiano Sannitu, se ne accorge solo il 30 luglio e vara una delibera ad hoc. Messa pure questa pezza, i soldi pare che ancora non si vedano. E in ogni caso, secondo gli addetti ai lavori, non bastano. Richiesto di un commento, per ora Cappellacci preferisce soprassedere.

Sicurezza? Sì. Ma solo al 60%. Sempre secondo quanto riporta la delibera di giunta del 20 luglio scorso, il curatore fallimentare della Sgm ha «quantificato i costi (nel periodo luglio-settembre, ndr) per complessivi euro 250mila, al netto delle spese generali e eventuali imprevisti». Facile notare come all’appello manchino 100mila euro. Ciò significa, a rigor di logica, stringere la cinghia e puntare sulle emergenze. Ma parlare di priorità in un sito che già di per sé si rivela una sconfinata e indeterminata emergenza, appare forse un poco riduttivo. E molto pericoloso.

L’abbaglio della pepita. Per una decina d’anni, quando dopo tante premesse si cominciò a fare sul serio, l’idea di cavare oro dai rilievi della Marmilla parve pure funzionare. Di più: il modello Furtei sembrava esportabile a Osilo e Perdasdefogu. Per un certo periodo, sotto la presidenza Cappellacci, balenava in testa a molti l’idea che la Sardegna si fosse trasformata in un unico, antico filone d’oro. Nei due centri adocchiati dalla Sgm però non la pensavano allo stesso modo, tant’è che nel 2002 l’attuale presidente della Regione, subodorata l’ostilità dei residenti, chiariva a mezzo stampa che «nulla sarà fatto senza il volere della gente». Per poi precisare che, se il territorio non avesse spalancato le porte alle ruspe della Sgm, si sarebbe persa «un’importante occasione di sviluppo del territorio». A cose fatte – e in verità dopo aver dedicato al progetto ambizioni forse più grandi delle reali opportunità e aver ceduto e creduto alle promesse fatte a suo tempo – oggi abitanti e rappresentanti istituzionali di Furtei e Serrenti non sembrano più sposare l’ottimistica interpretazione resa nel 2002 da Ugo Cappellacci.

calice_furteiIl Sacro Graal. Il culmine della spericolata avventura è stato forse raggiunto nell’agosto del 2008, quando alla presenza dell’arcivescovo di Cagliari monsignor Giuseppe Mani e dell’attuale assessore regionale alla Cultura Maria Lucia Baire – promotrice della visita del pontefice in Sardegna — l’allora presidente della miniera Marty Read presentò alla stampa il calice in oro massiccio made in Furtei (1.5 kg per un valore di circa 32 mila euro) che Benedetto XVI avrebbe usato poco meno di un mese dopo per celebrare messa nella Basilica di Bonaria. Per avallare la bontà dell’iniziativa, Read sfoderò un invidiabile sorriso a favore di telecamere e snocciolò qualche cifra sulla redditività dello scempio di Santu Miali. «Ogni anno estraiamo circa 110 chili d’oro, ma nel 2008 – disse con enfasi – arriveremo alla cifra record di 220 chilogrammi». Fatti i dovuti calcoli, si parla di circa 4 milioni e 700 mila euro nel solo 2008. Tre mesi dopo, la situazione dev’essere drasticamente mutata, se è vero che nel 2009 la produzione è giusto un poco calata. Per la precisione: zero. I vertici della Sgm, Marty Read compreso, nel frattempo sono scappati a gambe levate.

Per la bonifica? Citofonare Nickol. Non basta. Perché tra gli arditi della Sgm figura pure Steve Nickol. Che nel 2002, dunque sotto la presidenza di Ugo Cappellacci, da direttore della miniera preannunciava alla stampa che in merito alle opere di bonifica i lavori erano «già in corso e si vedono i primi risultati». A questo punto, giusto per qualche delucidazione in merito, sarebbe auspicabile che i furteresi invitassero il genio australiano a fare una gita nei dintorni della cava. Giusto per chieder conto dei famosi «risultati».

Pablo Sole

(pubblicato il primo settembre 2009 sulla Nuova Sardegna e su espresso.repubblica.it) 

 

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