La collezione ‘Olnick-Spanu’ a Cagliari, 15 capolavori in mostra fino a dicembre

Nancy Olnick e Giorgio Spanu: lei newyorkese di nascita, lui originario della Sardegna, sono i fondatori del Magazzino Italian Art Foundation di Cold Spring, il museo dedicato all’arte italiana, inaugurato nel 2017 a pochi chilometri da New York. Grazie ad un segmento della loro collezione, in questa prima partnership con un museo italiano, è stato possibile realizzare la mostra From the Olnick Spanu Collection, ospitata al Palazzo di Città di Cagliari.

Ancora per due settimane, fino all’8 dicembre, sarà possibile ammirare 15 capolavori, di cui alcuni inediti, degli artisti più rappresentativi dell’Arte Povera: il solo gruppo artistico, nato nella seconda metà del Novecento, a godere di una fortunata e longeva visibilità internazionale.

L’Arte Povera, così battezzata nel 1967 dal critico d’arte Germano Celant, risponde alla volontà di una dilatazione temporale e concettuale, ispirando una riflessione, fisica o spirituale, sul proprio posto nel mondo e sulla riscoperta dello stesso.

Le opere realizzate dai suoi esponenti si distinguono, in modo originariamente individuale, per un’intuitiva naturalezza che investe attitudini plastiche e processi operativi.
I materiali, collocati nello spazio, esercitano azioni insite nella loro stessa fisicità agendo, nel luogo e con le persone, attraverso un insieme di esperienze, reazioni, contatti e sperimentazioni.
Nell’impiego di elementi poveri, ‘antiartistici’ (stracci, cartapesta ecc.), l’Arte Povera si pone come presa di coscienza delle possibilità espressive insite nella materia vegetale, animale, minerale. Un orientamento, che rientra nell’ambito più generico dell’arte concettuale, connotato dalla volontà di un’etica attribuzione dei valori, operata attraverso il recupero dei materiali, che non vengono trattati per apparire più glamour ma dei quali venne messa in risalto la naturale bellezza.

Come Celant ha dichiarato, l’Arte Povera, “più che prodotti ha realizzato organismi che si evolvono, mutano e ruotano sulla relazione aperta e non sul fissaggio di entità fisiche.”
Se per alcuni artisti la costruzione di relazioni è una questione essenzialmente materiale, per altri è imprescindibile da implicazioni psicologiche e concettuali.

Nel primo caso si possono collocare i lavori di Giovanni Anselmo, che rendono direttamente percepibili situazioni attive di energia. L’opera in mostra usa una pietra sospesa per rendere evidente l’azione diretta della gravità: una forza invisibile viene resa intellegibile attraverso un materiale sottoposto alla sua azione.
Jannis Kounellis usa invece forti valenze visuali e simboliche per porre in contrasto le difficoltà della condizione umana nell’era industriale. In mostra quattro enormi pannelli, del 1986, ognuno di 200×181, misure mutuate da quelle di un letto matrimoniale, che ribadiscono la centralità dell’uomo come unità di misura.
E ancora gli igloo di Mario Merz che costituiscono un filtro tra lo spazio del mondo e quello intimo dei pensieri e dei sogni. Un fragile riparo, luogo di incontro, concentrazione e scambio.

La presenza fisica è imprescindibile da un potenziale astratto per Pierpaolo Calzolari che usa elementi vegetali per operare processi dalle valenze alchemiche e poetiche, volti a rappresentare una dimensione spirituale.
Gilberto Zorio, altra faccia di questa medaglia, autore di sculture geometriche solitamente di forma stellare, opera una ricerca sulla luce e sull’energia, tramite fonti di illuminazione diretta e reazioni chimiche in divenire.
Giuseppe Penone fa, dello studio delle analogie tra forme culturali e naturali, il fulcro della propria indagine, ribadendo un continuo stato di partecipazione come analisi della realtà e della materia.

Se nell’Arte Povera i lavori cristallizzano pensieri che lo spettatore è invitato a prolungare partecipando alla vita stessa dell’opera, esemplare è la ricerca di Michelangelo Pistoletto che, con i suoi quadri specchianti, mette in atto una compenetrazione dello spazio dell’arte con quello della vita.
In Luciano Fabbro la commistione di elementi iconografici antichi e contemporanei dichiara l’essenza stessa dell’arte, quale prodotto della relazione tra situazione espositiva ed esperienza estetica.
Le tre opere, di cui una inedita, di Alighiero Boetti ci accompagnano invece in un percorso di decifrazione del proprio esistere ed essere parte del mondo. Boetti è peraltro autore dell’emblematico manifesto dell’Arte Povera, che riporta i nomi di tutti i partecipanti al movimento, abbinati a misteriosi simboli. L’artista lasciò la soluzione di questo enigma, incontro di forme elementari e simbologie matematiche e mistiche, nello studio di un notaio che tutt’oggi ne conserva il segreto.

Concettuale tra i poveri è Giulio Paolini che riflette, racconta e analizza, attraverso quesiti aperti, la tematica dell’identità dell’opera e dell’autore stesso. Poi ancora, un disegno di Pino Pascali, artista poliedrico e geniale, tardivamente compreso, e un lavoro pittorico di Marisa Merz, moglie di Mario, unica rappresentante femminile del movimento, scomparsa lo scorso 20 luglio.
Attraverso operazioni provocatorie, sottilmente ironiche, figlie di illuminate intuizioni, i rappresentanti dell’Arte Povera hanno riscattato la nudità della materia, tramutando anche il più vile dei materiali ed evocando, nell’operazione stessa, il mito della perpetua rigenerazione.

La mostra From the Olnick Spanu Collection racconta inoltre la risposta artistica italiana ad un momento critico delle ricerche contemporanee, che vede un distacco del campo dell’estetica da quello dell’arte. Se l’estetico si infiltra nel costume, nel comportamento e nella vita, l’arte non vive più per la ricerca del bello, bensì rinnova processi mentali che alimentano nuove logiche espressive e, infine, il mercato stesso.

A completare il percorso espositivo di Palazzo di Città vi è inoltre la mostra del fotografo Marco Anelli che, in “Building Magazzino”, ha documentato lo sviluppo dell’imponente progetto culturale di Olnick e Spanu, che hanno affidato i lavori di riadattamento e ampliameneto dell’ ex magazzino di computer all’architetto spagnolo Miguel Quismondo, ed affidato la direzione artistica degli spazi a Vittorio Calabrese.

Gaia Dallera Ferrario
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