Bioetanolo nel Sulcis, la Cisl: “Il gioco non vale la candela”

Il Sulcis è reduce da una riconversione mineraria e industriale disastrosa e fallimentare. Fabbriche di carte magnetiche, compact disc, biciclette, marmi e graniti giacciono silenziose nella zona industriale di Iglesias. Altrettanti capannoni sono presenti nella zona industriale di Portovesme nelle stesse condizioni. Lo scempio ambientale del settore minerario è sotto gli occhi di tutti. I cittadini sono stretti in una morsa occupazionale di una gravità inaudita. Sul progetto bioetanolo della Mossi e Ghisolfi non sappiamo quasi niente tranne che occorrono circa 5000 ettari di terra e 25 milioni di metri cubi d’acqua per la coltivazione della materia prima, la canna, che dovrebbe essere coltivata a non più di 50 chilometri di distanza da Portovesme. Un impatto ambientale altamente invasivo in rapporto al ritorno economico e occupazionale offerto, circa 300 buste paga che nessuno sa quale durata avranno. Tutto ciò è sufficiente per accettare un progetto quasi a scatola chiusa? Io credo che occorre fare molta attenzione alle scelte che verranno fatte per il futuro perché questo territorio non può permettersi altri errori”. A parlare è Fabio Enne, segretario regionale della Cisl, reduce dall’incontro di venerdì alla Regione a cui hanno partecipato sindaci del territorio, assessorati regionali all’ambiente, industria e agricoltura, la ex provincia Carbonia-Iglesias, la Agris Sardegna e le organizzazioni sindacali regionali.

“Non metto veti a priori”, aggiunge il segretario della Cisl, “vedo però troppa accondiscendenza nei riguardi di questa società e di questo progetto in particolare. C’è poi un altro aspetto da considerare: una burocrazia che ha tempi incompatibili con la crisi economica del Sulcis che non può attendere oltre. Bisogna far presto dando priorità a progetti immediatamente cantierabili, come nel campo turistico, ad esempio il centro termale di S.Antioco che darebbe 120 posti di lavoro con un investimento di circa 20 milioni di euro, senza nessun impatto ambientale, anzi il territorio sarà valorizzato. È ancora in attesa del rilascio delle concessioni urbanistiche”. La Uil, con Daniela Piras e Andrea Lai, ritiene invece di “fondamentale importanza per il territorio partecipare alla produzione di biocarburanti, sostenendo con forza l’investimento auspicando l’abbattimento dei tempi burocratici per la realizzazione”. La Copagri (Confederazione produttori agricoli) “propone di sfruttare le aree inquinate del Sulcis per non danneggiare le colture alimentari che certamente hanno un ritorno economico maggiore rispetto alla coltura delle canne” (che peraltro hanno una funzione “purificante” sui suoli contaminati,n.d.r.), considerato che la Sardegna importa ogni anno circa 300 milioni di euro di prodotti agroalimentari, con carenze produttive nei settori della cerealicoltura, carni bovine, olivicoltura e ortofrutta. Senza tralasciare il tema della sicurezza alimentare, intesa come sicurezza degli approvvigionamenti, sempre più all’attenzione dell’Unione Europea e degli Stati del mondo. Già oggi 800 milioni di persone muoiono di fame e nel 2050 la Terra conterà 9 miliardi di abitanti. Ecco perché il suolo agricolo non può essere sprecato. Negli ultimi trent’anni in Italia i terreni agricoli sono passati da 18 milioni di ettari a 12, mentre ne occorrerebbero 60 per il fabbisogno nazionale. Perché dunque mettere in concorrenza la canna con il carciofo spinoso DOP del basso Sulcis? Per quel territorio e per la Sardegna tutta occorre un progetto agricolo serio utilizzando pienamente le acque disponibili per usi alimentari. Nei comprensori di bonifica l’acqua registra, nelle aree attrezzate, un tasso di utilizzo inferiore al 30 percento. È come spendere tre volte tanto per gli impianti irrigui. Alla Mossi-Ghisolfi la Copagri Sardegna propone di coltivare le canne nei terreni inquinati a ridosso di Portoscuso e Portovesme, dove le coltivazioni food sono interdette a causa della presenza di alti tenori di metalli pesanti, e l’Università faccia le sue sperimentazioni, coadiuvata dalla Agris che già conosce la coltura della canna. Si vedrà nel proseguo se i produttori ne riconosceranno la convenienza ben sapendo di avere un unico acquirente il cui potere contrattuale sarà enorme nel dettare le condizioni economiche”. Per la cronaca la superficie della Sardegna è costituita per il 14% da montagne, per il 68% da colline superiori ai 350 metri e solo il 18% è pianura, concentrata quasi completamente nel Campidano.

Carlo Martinelli

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