“Il comandante non ci diede l’ordine di tuffarci”. È il passaggio chiave della testimonianza resa in aula da un ragazzino che nell’estate del 2015 si tuffò da uno yacht nelle acque di Santa Margherita di Pula assieme ad altri coetanei e a Letizia Trudu, la bambina di 11 anni travolta e uccisa dall’elica della barca. Davanti al giudice del Tribunale di Cagliari, Giuseppe Carta, l’adolescente ha ricordato le fasi drammatiche dell’incidente: “una delle situazioni più dolorose della mia vita”, ha detto.
Sul banco degli imputati, accusati di omicidio colposo, il padre di Letizia, Andrea Trudu, 48 anni, di Assemini, e il comandante dello yacht, Maurizio Loi, di 59, ex campione di windsurf residente a Serdiana. “Ho visto vari bambini tuffarsi – ha raccontato un’altra teste, una bagnante – poi le urla, la schiuma e una macchia scura che si allargava. La barca era molto vicina alla riva, ben oltre la boa che segnala i 200 metri e che serve per impedirne l’avvicinamento”. Andrea Trudu ha ascoltato tutte le deposizioni e ha avuto difficoltà a trattenere le lacrime. Secondo l’accusa – in aula rappresentata dal pm Alessandro Pili, titolare dell’indagine – il papà di Letizia le avrebbe detto di tuffarsi nonostante la barca avesse ancora i motori accesi. Al capitano dell’imbarcazione, invece, si contestano violazioni delle norme sulla sicurezza della navigazione. Il processo è stato aggiornato al 13 giugno.