Trentatre anni in carcere. Una condanna all’ergastolo per un triplice omicidio che non ha commesso. Finisce così – con una assoluzione piena al processo di revisione a Roma – l’odissea giudiziaria di Beniamino Zuncheddu, l’ex allevatore di Burcei condannato per la strage di Sinnai. Quando è entrato in carcere aveva solo 27 anni. Una vita trascorsa dietro le sbarre per un reato gravissimo che non aveva commesso. Uno degli errori giudiziari più clamorosi della storia italiana.
I giudici della Corte d’Appello di Roma hanno revocato l’ergastolo facendo cadere le accuse, con la formula: “per non avere commesso il fatto”. Una formula pesantissima, visto che ci riferiamo a un uomo che per 33 anni ha avuto lo stigma dell’omicida. Zuncheddu invece è innocente. La camera di consiglio è durata due ore, dopo la richiesta del Procuratore generale, Francesco Piantoni, di assolverlo. L’emozione in aula era palpabile. Zuncheddu ha parlato di “fine di un incubo”.
La condanna di Zuncheddu si basava sulla testimonianza dell’unico superstite alla strage all’interno dell’ovile di Sinnai, Luigi Pinna, rimasto gravemente ferito e oggi 62enne. Inizialmente sostenne di non aver potuto riconoscere l’autore (o gli autori) degli omicidi, perché travisato da una calza nel volto. Poi invece indicò in Zuncheddu il responsabile della strage. Il sospetto era che un poliziotto gli avesse mostrato una foto dell’allevatore: entrambi per decenni hanno sempre negato. Fino alla deposizione nel processo di revisione, durante la quale Pinna ha ammesso che sì, prima di testimoniare aveva visto la foto di Zuncheddu. E che l’agente che seguiva le indagini gli aveva detto che fosse lui l’assassino. Era stato “indotto” a riconoscerlo.
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La strage avvenne l’8 gennaio del 1991 a Cuile is Coccus a Sinnai. Il killer uccise prima Gesuino Fassa, che si trovava nella strada di accesso all’ovile, poi fece fuoco sul figlio Giuseppe. Pusceddu fu ucciso mentre si trovava all’interno di una baracca assieme al superstite.