“Potenzialmente l’esposizione continua ed a basse dosi all’uranio impoverito può essere cancerogena”. Lo afferma all’ANSA il past president dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), Carmine Pinto, in merito alla relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito, presentata oggi. Un tipo di esposizione “continua ed a basse dosi – rileva Pinto – è proprio quella che potrebbe essersi determinata a danno dei militari nelle missioni ed esercitazioni”.
Numerosi, ricorda Pinto, “sono i casi di leucemie e linfomi non Hodgkin registrati tra militari che sono stati in missioni o in basi dove erano utilizzati proiettili ad uranio impoverito”.
Tali proiettili, chiarisce, “sprigionano particelle di uranio impoverito che si depositano nel suolo e nell’acqua. Se tali particelle radioattive vengono inalate o ingerite possono rappresentare un rischio cancerogeno, in presenza di un’esposizione continua ed a basse dosi”. Il problema dunque, sottolinea, “non è tanto rappresentato dall’utilizzo in sé di tali proiettili, quanto dall’esposizione prolungata dei militari nei luoghi contaminati”. Per questo, afferma Pinto, “sarebbe opportuno avere da parte delle autorità militari una registrazione precisa di tutti i casi di tumore verificatisi tra i militari esposti, in modo da poter rilevare se in tale fascia si determini una incidenza maggiore di neoplasie”. Inoltre, aggiunge, “tali militari andrebbero seguiti comunque nel tempo”. Infatti, conclude l’oncologo, “l’eventuale insorgenza di neoplasie può essere molto lenta e la malattia può avere una latenza anche di oltre 15 anni”.