INCHIODATO DALLE PROVE. Tracce organiche nell’appartamento, sangue sui vestiti. E poi i filmati delle telecamere di sorveglianza che lo hanno inquadrato mentre entrava nel luogo del delitto. Sono questi gli “elementi oggettivi” di cui ha parlato il procuratore capo Domenico Fiordalisi. Gli elementi che inchiodano Angelo Frigeri. Il quale “ha agito da solo”. Non c’è alcun elemento – a parte le sue versioni contraddittorie – che indichi la presenza di complici sulla scena del delitto. Eventuali altre responsabilità potrebbero riguardare i momenti precedenti o successivi. Cioè un “aiuto” in qualche fase preliminare o nel successivo tentativo di depistare le indagini. Ma si tratta di un’ipotesi improbabile, smentita dall’intera dinamica della strage.
I TENTATIVI DI DEPISTAGGIO. Tutti gli elementi convergono su un punto: Frigeri non ha usato alcuna cautela. Ha disseminato prove. Addirittura, dopo il delitto, ha bevuto una Red Bull nell’appartamento degli Azzena, lasciando altre tracce organiche. Solo dopo aver compiuto il triplice omicidio ha cominciato a mettere in atto comportamenti finalizzati a sviare le indagini. Prima ha pulito come ha potuto la scena del delitto. Poi, alle 19,30 – riferisce la Nuova Sardegna – si è presentato nella casa dell’anziana madre di Azzena, che abita a poca distanza dall’appartamento di via di Villa Bruna, per chiedere ad Alessandra, la sorella della vittima, se avesse notizie di Giovanni Maria. Ed è stato proprio quell’intervento a innescare il primo allarme. Coerente con questo tentativo di mostrarsi ignaro di tutto e ‘preoccupato’ per l’amico, il comportamento della mattina successiva, cioè quando la strage era stata scoperta: Angelo Frigeri era tra la folla di curiosi che osservavano l’andirivieni degli uomini del Ris nell’appartamento degli Azzena.
NESSUN ALIBI PRECOSTITUITO. Angelo Frigeri, appena interrogato, si è trovato davanti a un problema enorme: la certezza della sua presenza sul luogo del delitto. È stato a quel punto che ha inventato la storia dei “due uomini” (più precisamente “due napoletani”, in un’altra delle sue numerose versioni) che l’avrebbero obbligato ad aprire la porta dell’appartamento. E poi, dopo il delitto, gli avrebbero ordinato di pulire il pavimento. Quando la versione dei “due napoletani” è diventata del tutto insostenibile, ha chiamato in causa un commerciante di Tempio. Indicandolo con nome e il cognome. L’uomo è stato convocato in caserma ed è subito risultato estraneo al delitto.
UNA STRAGE NON PREMEDITATA. Fin dal primo momento gli investigatori hanno ipotizzato che il triplice omicidio fosse stato compiuto senza premeditazione, a conclusione di una discussione degenerata all’improvviso. Lo dicevano l’arma del delitto – il filo elettrico che già si trovava nell’abitazione – e l’uccisione del piccolo Pietro. Lo diceva anche l’ora del delitto. Tutto dava l’impressione che il killer fosse entrato nell’appartamento in un normale momento della vita familiare degli Azzena e che poi fosse successo qualcosa che aveva scatenato la furia omicida. Intuizione confermata dalla sgangherata e improvvisata linea difensiva di Frigeri.
IL MOVENTE E LA RELAZIONE SENTIMENTALE. Tutti gli organi di informazione sottolineano che dalle intercettazioni compiute nel 2008, quando Giovanni Maria Azzena fu arrestato per usura, era emerso che c’era un rapporto molto confidenziale tra Frigeri e Giulia Sanzani. Ma, contemporaneamente, tutte le testimonianze recenti descrivono Frigeri e Azzena come “due amici” che erano molto spesso assieme. Tutto fa ritenere che quella presunta relazione fosse stata superata e che tra i due – entrambi in una situazione economica non facile – si fosse instaurato qualcosa di simile a un rapporto d’affari. Si scambiavano le auto, Frigeri prestava la sua opera presso l’appartamento degli Azzena. A quanto pare, riferisce l’Unione sarda, Frigeri aveva gestito un bar a Sassari insieme ad Azzena e voleva indietro dei soldi. Si riteneva vittima di un raggiro, riguardo al noleggio e alla vendita di alcune auto.
LA CONTABILITA’ PARALLELA. Poco dopo le 15, quando la strage è stata compiuta, le telecamere inquadrano un uomo magro – poi individuato in Frigeri – che esce dalla casa degli Azzena, entra nel negozio e poco dopo esce tenendo una busta in mano. Poi rientra nell’appartamento. Che necessità poteva avere Frigeri, dopo aver compiuto la strage, di preoccuparsi di qualcosa che si trovava nel negozio? Cosa contengono quei documenti? L’ipotesi è Frigeri avesse avviato il depistaggio delle indagini e abbia voluto nascondere della documentazione contabile, di cui era a conoscenza, dalla quale risultavano le ‘sofferenze’ nei suoi rapporti economici con Azzena. Una documentazione che avrebbe potuto condurre gli investigatori fino a lui. Ma non è detto affatto che questa documentazione potesse provare un rapporto usurario. La situazione, infatti, poteva essersi ribaltata. Poteva cioè essere Frigeri il creditore di Azzena.
LA SCENA DEL DELITTO. Solo i risultati delle analisi scientifiche potranno dare elementi tali da consentire una ricostruzione precisa. Di certo tutte le tre vittime sono state uccise per strangolamento, ma Giovanni Maria Azzena e la moglie sono stati anche colpiti con un corpo contundente. Questo fa ritenere Frigeri (il quale non mostra segni apparenti di una violenta colluttazione) abbia prima stordito le due vittime e poi le abbia strangolate. E che il piccolo Pietro sia rientrato in casa a delitto avvenuto. A quel punto Frigeri ha deciso di ucciderlo. E non ha avuto difficoltà, in solitudine, a sopraffare un bambino inerme.