Amianto a Orani, controlli al palo a quattro mesi dall’allarme

Nelle cave di Orani della Maffei Sarda c’è l’amianto, ma “gli approfondimenti sono ancora in corso”, fa sapere la Regione. Attivati subito dopo l’allarme dello scorso giugno, quando le analisi effettuate dall’Asl di Viterbo e dal Politecnico di Torino hanno individuato la pericolosa tremolite d’amianto nei minerali provenienti dal sottosuolo barbaricino, i controlli dell’Arpas sono fermi al palo. O quasi.  Complice anche lo scarso coordinamento tra i due settori dell’agenzia per la protezione dell’ambiente chiamati a far luce sulla vicenda. Da una parte il Centro regionale per l’amianto, dall’altra il dipartimento geologico, che gestisce direttamente il caso, visto che dispone della tecnologia necessaria per effettuare le indagini. A differenza del Centro per l’amianto, che può contare solo sulla microscopia ottica.

Insomma, il tempo passa e l’Arpas non si pronuncia. Se, oltre Tirreno, si è passati dalle analisi al sequestro dell’impianto che stocca i minerali provenienti dalla Sardegna nel giro di qualche settimana, nell’Isola non sono sufficienti quattro mesi per venire a capo del problema. Inoltre, nel frattempo nessun provvedimento ha colpito cave e miniere presenti nel territorio comunale di Orani. Eppure una legge del 1992 vieta “l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione d’amianto e di tutti i prodotti contenenti amianto”, che possono essere maneggiati solo per essere rimossi.

Qualcosa, comunque, è stato fatto, visto che l’agenzia ha sistemato le centraline mobili nel centro abitato di Orani per verificare la presenza di fibre di amianto provenienti dalle cave. Le analisi, in questo caso, hanno dato esito negativo. La Maffei Sarda,  società facente capo al colosso minerario Minerali Industriali, ha invece attivato una convenzione con l’Università di Cagliari per verificare la presenza della tremolite nelle cave.

Tuttavia, sulla presenza di absesto nelle cave barbaricine ci sono pochi dubbi. Non solo le analisi effettutate dall’Asl di Viterbo e dal Politecnico di Torino parlano chiaro, tanto da portare lo scorso 18 giugno al sequestro dell’impianto della Minerali industriali che a Gallese, provincia di Viterbo, stocca le materie prime provenienti dall’Isola. Anche le pubblicazioni del geologo Giorgio Conti-Vecchi nel 1991 e del professore di Scienze della Terra dell’Università di Cagliari Carlo Marini nel 2000 parlano della presenza di tremolite nelle formazioni geologiche oggetto di attività estrattiva ad Orani. Più in generale, i geologi sono concordi nell’affermare che la tremolite sia quasi sempre associata alle formazioni di feldspati e talco di cui è ricco il centro Sardegna. Al contrario, la Regione sembra aver ignorato il problema: nell’autorizzare le attività di cava, gli assessorati competenti non fanno riferimento alla presenza nel sottosuolo delle fibre d’amianto.

L’ombra del mistero sembra comunque estendersi anche oltre Tirreno. A metà settembre, non erano ancora pervenuti i risultati delle analisi effettutate a luglio sui residui dei prodotti lavorati dalle aziende del comprensorio laziale rifornite con i feldspati isolani. Nel distretto industriale di Civita Castellana la produzione degli articoli igienico-sanitari continua senza sosta, come ad Orani.

Piero Loi

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