Giuseppe Cugusi, pastore per amore: “Nei miei formaggi i sapori dei pascoli”

di Andrea Tramonte

“Nel mio Fiore sardo senti tutti i sapori della terra”, dice con orgoglio Giuseppe Cugusi, pastore sessantenne di Gavoi e titolare del marchio Sa Marchesa. Quei sentori dipendono innanzitutto dal procedimento usato per produrlo, a latte crudo. Significa che il formaggio è fatto con latte appena munto, non pastorizzato e termizzato, e questo processo consente di conservare le caratteristiche organolettiche della materia prima. Ma non basta. Perché un buon formaggio parte dall’erba; è condizionato fortemente dall’alimentazione degli animali e dalla loro qualità della vita. “Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo”, scriveva Italo Calvino. La scelta di Cugusi è quella di lasciar pascolare le sue pecore allo stato brado lungo i terreni che possiede in campagna a Paulilatino, 150 ettari di macchia mediterranea situati da qualche parte nell’alto Oristanese a un’altezza di circa 200 metri. “È un luogo un po’ selvaggio – ride lui -, dovresti vederlo coi tuoi occhi”. I suoi animali si muovono liberamente e scelgono in modo autonomo di cosa cibarsi, respirando aria pulita. “È questo che dà il gusto autentico al formaggio – dice Cugusi -. Se coltivi i campi o usi erbaglie magari le pecore riescono a fare più latte, ma il sapore è un’altra cosa. Non puntiamo sulla quantità: la nostra scelta è quella di fare un prodotto di qualità, di cui noi per primi dobbiamo essere soddisfatti”.

Quando Cugusi parla riesce a trasmettere una passione genuina, fortissima per il suo lavoro. “Sono in campagna da quando ho 11 anni – dice – e spero di rimanerci ancora a lungo”. La sua azienda produce Fiore sardo da molto tempo ma la svolta arriva agli inizi degli anni Zero, quando cerca di superare un limite strutturale del mercato: se vendi formaggio ai grossisti il prezzo lo fa chi compra, non chi vende. “Piazzi” un po’ di partite ma non hai alcun tipo di controllo sul tuo prodotto. Così Cugusi decide di ribaltare il tavolo. Inizia a creare nuove ricette da formaggi antichi e fa una cosa semplicissima a parole ma molto difficile nella pratica: sceglie una strada meno comoda ma potenzialmente più appagante, scardina vecchie consuetudini e pensa fuori dagli schemi. Oggi Sa Marchesa è una azienda consolidata che produce formaggi di alta gamma per un mercato di nicchia ma fiorente, commercializzandoli in prima persona: si trovano in degustazione nei menù di ristoranti tre stelle Michelin come la Pergola di Heinz Beck a Roma (e prima anche al tristellato fiorentino Enoteca Pinchiorri) o si possono acquistare in botteghe “gourmet” dell’Isola, selezionate per l’attenzione rigorosa verso prodotti enogastronomici di altissima qualità. Un ulteriore riconoscimento al suo lavoro arriva da Slow Food, che domani gli dedicherà un intero appuntamento legato a Le cose che abbiamo in comune, nuovo format proposto da Terra Madre Salone del Gusto 2020 che mette attorno a un tavolo virtuale per una chiacchierata donne e uomini dello spettacolo e dello sport con cuochi, produttori e allevatori. Dialogheranno insieme a lui Geppi Cucciari, Gigi Datome e Paolo Fresu, che racconteranno di sé e della loro appartenenza all’Isola.

Il suo Fiore sardo è stato premiato come miglior formaggio a latte crudo italiano. È lavorato interamente a mano, affumicato con un metodo antico e – prima della lunga stagionatura – lavato con aceto di vino rosso e olio extra vergine di oliva. “Ho iniziato a diversificare con l’idea di creare nuovi prodotti, in grado di raccontare il territorio e la tradizione in modo diverso”, spiega Cugusi. Il primo “esperimento” di successo è stato il pecorino aromatizzato al timo, la particolare “armidda” che cresce spontanea nei monti barbaricini a 700 metri d’altezza. Poi c’è il Pecorino Lazzone, un formaggio stagionato, senza conservanti o additivi, apprezzato anche in alta cucina e usato da chef come Pierluigi Fais per impreziosire i propri piatti. Ma ci sono pure il Foz’e Murta, pecorino aromatizzato al mirto, e il Barigàdu al tartufo nero. “Il prodotto è andato sempre migliorando con un lavoro di sperimentazione e di ricerca costante – dice Cugusi -. Tornare indietro non si può, bisogna tenere sempre alta la qualità. Anche perché amiamo il nostro lavoro e ci teniamo a farlo in un certo modo”.

 

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