“L’orgoglio di essere un pastore sardo”. La lettera-appello da Gonnosfanadiga

Da Gianfranco Usai, allevatore 46enne di Gonnosfanadiga, nel Sud Sardegna, riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera-testimonianza. È una riflessione profonda sul senso della professione in un mondo globalizzato, dove i cambiamenti climatici segnano il passo e modificano il mestiere insieme alla crisi del comparto determinata dal prezzo del latte. Una vertenza che sembra non avere fine. 

Sono un piccolo allevatore di pecore di Gonnosfanadiga, un paesino del Sud Sardegna ai piedi del monte Linas. Mi spingono a scrivere questa lettera alcune considerazioni su come ho vissuto questa annata agraria. Non sono impreparato alle difficoltà: ne ho vissute già in passato, in prima persona come l’incubo dell’ecomostro che si chiamava termodinamico. Una battaglia massacrante durata cinque anni ma vinta, anche grazie alla caparbietà di noi agricoltori e allevatori che amiamo lavorare nella nostra terra, orgogliosi di essere sardi e legati alle tradizioni.

Questa annata è stata altrettanto massacrante, per tanti motivi. Prima di tutto il fattore climatico che ci sta pian piano modificando il modo di lavorare in campagna: mesi di siccità poi bombe d’acqua, trombe d’aria e tanto altro. Poi la famigerata guerra del latte, vissuta da me personalmente con il cuore e l’umore a pezzi, al punto di arrivare a pensare che non l’avrei superata. Ho cercato nel mio piccolo di fare qualcosa per non buttare quel ben di Dio che si chiama latte, e sono stato uno dei promotori nel mio paese di una forma di protesta ‘gentile’: regalare il latte in bottiglia ai nostri concittadini, con i quali abbiamo anche prodotto in piazza il formaggio, la ricotta e ‘su callau’. Un’esperienza forte, che abbiamo condiviso anche con un’associazione che si occupa di disabilità e ci ha emozionato per la partecipazione. Superata la fase critica si è tornati a conferire il latte al mondo della trasformazione, seppure tra mille difficoltà. Personalmente questa esperienza mi ha consentito di riscoprire la vecchia tradizione dell’arte di preparare il formaggio. Che sinceramente mi mancava, in questo mondo ormai globalizzato che con le sue regole rischia di schiacciarci, specialmente noi, piccoli allevatori.

Il mio auspicio è che il mondo della trasformazione – industriale privato e di stampo cooperativo – si renda conto e prenda atto che il buon formaggio nasce dal lavoro di noi allevatori, così come il buon vino nasce in vigna e quindi dalla terra e dal territorio che la circonda. E che anche noi allevatori abbiamo una dignità: quella di vivere per ciò che vale il nostro lavoro, fatto di tanto sacrificio! Un lavoro che è fatto di tanti saperi, tradizioni, cura dell’ambiente, cultura e tanto altro! E la Sardegna senza la pastorizia è morta perché il latte è la nostra vita e quella di tutta la comunità sarda: dal passato remoto al futuro prossimo la pastorizia è vita!

Gianfranco Usai

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