Veleni sul mare, disastro Porto Torres

Quando piove – ma a volte pure quando è bello – il terreno dell’area industriale di Porto Torres si trasforma in una poltiglia d’acqua e fango. E benzene, tricloroetano, toluene, cloroformio, cloruro di vinile, idrocarburi e altre componenti da laboratorio chimico avanzato. E da reparto  oncologico. Succede quando le sostanze contenute nel terreno e nella falda, che mal si mescolano con l’acqua, dal sottosuolo risalgono con prepotenza in superficie. Poi scompaiono nuovamente nei meandri della terra, a formare un reticolo di ‘sabbie mobili’ sotterranee che sputano e trasudano veleni in quantità inimmaginabili. E non solo quando dal cielo viene giù qualche goccia. Nell’area industriale di Porto Torres, a vedere cosa c’è sotto, si passeggia sul rischio del cancro. Nel circondario, giù fino a Sassari e oltre, è boom di tumori.

INFOGRAFICA / Quali sono e che effetti hanno i veleni di Porto Torres

Il quadro è devastante, come hanno documentato i tecnici dell’Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale che, per tutto il 2016, hanno monitorato l’intera area industriale, pompando acqua dai piezometri – tubi conficcati nel terreno a intercettare le falde – e analizzando i risultati per i quattro mesi successivi. Gli esiti? Catastrofici. Malgrado gli impianti siano spenti da tempo.

Ed è subito record

Il superamento dei parametri di legge è talmente elevato da risultare al limite del concepibile (qui i dati completi). Se valori doppi o tripli rispetto alle soglie di sicurezza destano preoccupazione, che dire di sforamenti nell’ordine del milione? Si prenda il piezometro C2SP0660D, installato in un’area un tempo occupata da immensi serbatoi della Syndial e ora del tutto sgombra, malgrado i segni lasciati sul terreno dalle cisterne siano ancora ben visibili.

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I dati hanno rivelato la presenza di 630mila microgrammi di tricloroetano per litro di acqua. Per legge non dovrebbe superare la soglia di 0.2 µg/l (microgrammi per litro). Significa che in quell’area, nell’acqua di falda è stata riscontrata una concentrazione di tricloroetano che oltrepassa di 3.150.000 volte il limite accettabile. Tre milioni. E non è purtroppo un caso isolato. Nel medesimo punto di prelievo ad esempio, la concentrazione di tetracloroetano è risultata 1.700.000 volte superiore ai limiti di legge, quella del dicloroetano 1.200.000 volte. Il cloroformio supera la soglia di 583mila volte, gli organoalogenati 370mila, il dicloroetilene 114mila. Ci si può consolare con le concentrazioni di benzene, appena 20mila volte sopra soglia, e degli idrocarburi totali, 2.400 volte. Si tratta di sostanze, manco a dirlo, coinvolte a vario titolo nell’insorgenza di patologie mortali. Tumori in primis.

I pozzi dei veleni fronte mare

La concentrazione di veleni riscontrata nel resto dell’area industriale (qui il quadro completo) e in particolare in alcuni piezometri fronte mare, non ha nulla da invidiare ai valori scioccanti registrati nell’area un tempo occupata dai vecchi serbatoi della Syndial. Nel pozzetto D1sp004, area ovest, a poca distanza dalla discarica fronte mare di Minciaredda, i tecnici dell’Ispra hanno recuperato 97mila microgrammi di cloroformio per litro d’acqua. Limite di legge: 0,15. Parliamo di un superamento della soglia normativa di 646mila volte. Nel pozzetto Pp28, a due passi dall’acqua, la concentrazione di un agente cancerogeno come il benzene ha superato il limite di legge (1 microgrammo/litro) di 300mila volte, mentre nel già citato D1sp004 i potenziali cancerogeni tricloroetano e dicloroetilene sono risultati rispettivamente 160mila e 32mila volte oltre soglia. Poi c’è il cloruro di vinile, altro potente cancerogeno, che nel pozzetto A1sp0025 – area est – è risultato 8.600 volte sopra soglia. E si parla esclusivamente dei valori più clamorosi, malgrado i superamenti dei limiti di legge siano stati puntualmente registrati in tutti i pozzetti.

  • MAPPA INTERATTIVA – Clicca sulle icone per conoscere i valori delle sostanze trovate nei piezometri

Gli impianti sono fermi, l’inquinamento no

I dati raccolti sono da pelle d’oca, a maggior ragione se si tiene conto che le risultanze dei prelievi non sono quelle che si potrebbero attendere in un’area già interessata da interventi di messa in sicurezza. E infatti l’Ispra suggerisce a Eni di verificare “la tenuta e lo stato dei serbatoi di stoccaggio, dei manufatti, degli impianti dismessi, delle vecchie linee di trasferimento e di tutti i sottoservizi presenti nell’area”. Questo perché “l’elevato tenore di contaminazione delle acque di falda e la presenza persistente del prodotto, lascerebbe presupporre la presenza di fonti attive di contaminazione ancora oggi”. Non mancano nemmeno le bacchettate piuttosto pesanti – prassi inusuale per un’istituzione come Ispra – riservate all’Eni sulla parzialità dei dati forniti.

Bonifiche al via. Due anni dopo l’approvazione del progetto

Nel frattempo, piccu piccu e con imbarazzante ritardo, qualcosa però si muove. Appena due anni dopo l’approvazione dei progetti di bonifica, arrivata nel gennaio del 2016. Ma tra varianti in corso d’opera e ulteriori rinvii legati alle valutazioni del caso, pochi giorni fa è arrivato finalmente il via libero definitivo del ministero dell’Ambiente al progetto di bonifica della falda Syndial. Ancora un po’ di pazienza: non partirà prima di quattro mesi, col nuovo anno. Costo dell’intervento: 138 milioni a carico dell’Eni, “secondo il principio del chi inquina paga, ha tenuto a sottolineare la Regione in una nota stampa. Obiettivo: “Restituire la Sardegna ai sardi – ha dichiarato l’assessore regionale all’Ambiente Donatella Spano – e costruire un futuro di sviluppo sostenibile per le comunità gravate dal pesante inquinamento del passato”. Che passato non è ancora.

Pablo Sole

sole@sardiniapost.it

 

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