Sulla transizione energetica le principali associazioni ambientaliste esprimono forte preoccupazione dopo l’approvazione del disegno di legge sulle aree idonee e non idonee per le rinnovabili approvato dalla Giunta. Il punto delle sigle – Wwf, Legambiente, Greenpeace e Kyoto Club riunite intorno al marchio Sardegna Rinnovabile – è che “la quasi totalità del territorio sardo è stato classificato come non idoneo per gli impianti rinnovabili. Del resto – scrivono le associazioni in una nota – di sette allegati al testo della legge regionale, solo uno, piuttosto sintetico, riguarda la selezione delle aree idonee, mentre i restanti sono lunghi elenchi di aree non idonee e di ulteriori requisiti urbanistici ed edilizi richiesti per tipologia di impianto”. E questo approccio rischia di frenare sulla transizione,”Pur apprezzando e riconoscendo lo sforzo della Giunta nell’affrontare un tema troppo a lungo lasciato in sospeso, nel difficile contesto dell’aspro dibattito alimentato da chi nei fatti sostiene il permanere di un’economia basata sulle fonti fossili”.
La selezione delle aree idonee e non idonee avrebbe dovuto favorire il rapido sviluppo di energia rinnovabile in tutto il Paese, garantendo iter autorizzativi semplificati e snelli in quelle aree particolarmente vocate all’installazione degli impianti, spiegano le associazioni. “Invece, la preoccupante assenza di criteri validi, strutturati e uniformi a livello nazionale ha rappresentato un prevedibile boomerang per le rinnovabili, con la Regione che si sta apprestando a tradurre in legge, anche con effetto retroattivo per gli impianti con procedura autorizzativa in corso, le diffuse preoccupazioni determinate anche dalla martellante campagna mediatica contro le rinnovabili spalleggiata da forti interessi legati ai combustibili fossili, quegli stessi combustibili all’origine del cambiamento climatico che minaccia il futuro di patrimoni inestimabili tra cui proprio il territorio sardo, su cui grava una crisi idrica senza precedenti”.
L’alleanza ambientalista ritiene che l’Isola potrebbe costituire un laboratorio dei paesaggi dell’energia, “un esempio di coesistenza e armonia tra natura e produzione energetica rinnovabile”, ma occorre un “deciso cambio di passo e una nuova considerazione delle ragioni delle Fer (Fonti di energia rinnovabile), che consentono di tutelare proprio la natura e il territorio con un irrisorio impatto sulla biodiversità rispetto alle fonti fossili”. La Sardegna – ricordano gli ambientalisti – ha il più alto tasso di emissioni di Co2 pro capite e un mix energetico che vede ancora una preponderanza di carbone e derivati del petrolio. “Non è chiaro come farà la Regione a raggiungere gli obiettivi del burden sharing (6.2 Gw al 2030, contro i 0,4 Gw installati fino al 2023) e la produzione ulteriore che sarà necessaria dopo il phase out dal carbone con così tante limitazioni e preclusioni per le rinnovabili sull’intero territorio regionale. A pagarne le conseguenze saranno soprattutto gli stessi cittadini sardi, costretti a sopportare i danni di un’economia fossile con ripercussioni sulla salute e sul prezioso ecosistema sardo già oggi in forte sofferenza per gli impatti dei cambiamenti climatici che le rinnovabili contribuirebbero a contrastare”.