Presunto giro milionario di rifiuti, sotto accusa ex leader Cgil e vertici della Portovesme

Alessandra Carta

Scarti di lavorazione della Portovesme srl smaltiti a un prezzo di favore che è risultato quindici volte più basso rispetto al costo di mercato. Ovvero 26 euro anziché 290. Da un lato ci guadagnava l’azienda che, ritirando i rifiuti speciali sottobanco, si assicurava le commesse; dall’altra risparmiava un sacco di soldi il colosso industriale del Sulcis. Questo, stando all’avviso di conclusioni indagini, è successo in Sardegna dal 2015 al 2020. Nero su bianco l’hanno messo le pm Rita Carnello e Rossella Spano. Cinque gli indagati. Le funzioni di Polizia giudiziaria le ha svolte il Nucleo investigativo del Corpo forestale, guidato da Fabrizio Madeddu.

I nomi sono eccellenti, visti i ruoli, a cominciare dall’ex segretario di Cgil Sardegna, Giampaolo Diana, che fino a marzo del 2015 è stato consulente intermediario della Portovesme srl, quindi diciamo che stava dalla parte del committente; poi ha acquisito il 20 per cento di quote nella ‘Nuova materie prime mediterranea’, la ditta che per conto della srl smaltiva il solfato di acido biidrato prodotto dall’azienda del Sulcis come scarto di lavorazione. Ovvero, gesso. Insieme a Diana è indagato il suo socio, Massimo Di Martino, che detiene il 40 per cento dell’azionariato. Avviso di garanzia anche per i due amministratori delegati della Portovesme: Carlo Lolliri, in carica dal luglio 2015 al 22 maggio 2019, e Davide Garofalo, subentrato dal giorno in cui il predecessore ha lasciato. La quinta indagata è Marilena Moledda, responsabile del reparto Supply Chain, la ‘Catena di approvvigionamento’ che nella srl del Sulcis si occupa delle materie prime e degli scarti di lavorazione.

La Portovesme è una società del Gruppo Glencore, bandiera anglo-svizzera. Estesa su settanta ettari, la srl “è l’unico produttore primario di zinco e piombo che opera in Italia”, si legge sul sito della società. Il solfato di acido biidrato è qualificato nelle bolle di accompagnamento della stessa srl come “rifiuto speciale pericoloso“, in quanto “non era sottoposto al processo di trattamento necessario per la sua commercializzazione”. Ovvero, non veniva liberato dalla “contaminazione dei metalli pesanti”, quali “zinco, piombo, alluminio, cadmio e rame”, è scritto ancora nell’atto di conclusione indagini.

Per cinque anni, dal 2015 al 2020, è successo che l’azienda di Diana e Di Martino si faceva carico del solfato di acido biidrato. In quel lustro ha incassato dalla Portovesme ben tre milioni di euro. La ditta targata Di Martino-Diana si trova nella zona industriale di Macchiareddu, nella Terza strada. Lì nel tempo sono stati portate “per lo meno 150mila tonnellate di scarti di lavorazione“, è scritto ancora nell’avviso di conclusione indagati, ciò che per i due soci ha comportato un guadagno di tre milioni di euro, hanno ancora accertato le due magistrate inquirenti. La srl del Gruppo Glencore ha pagato in media 20 euro a tonnellata, è risultato dalle verifiche fatte dal Nucleo investigativo del Corpo forestale.

Nell’avviso di conclusione indagini, le Pm hanno poi fatto il conto inverso: se la Portovesme srl avesse dovuto smaltire le 150mila tonnellate non al prezzo di favore concordato con Di Martino e Diana ma a quello di mercato, avrebbe speso 43.500.000 euro. I quali, a fronte dei tre milioni realmente spesi, hanno permesso al Gruppo Glencore di risparmiare 40.500.00 euro.

Adesso Di Martino, Diana, gli Ad Lolliri e Garofalo più la Moledda devono rispondere, in concorso tra loro, di due reati: uno è l‘articolo 452 quaterdecies del Codice penale, che punisce “chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti”. Poi ecco l’articolo 452 novies, che è l’aggravante del danno ambientale. Oggi sono scaduti i 20 giorni di tempo che le due Pm hanno dato alle difese per presentare memorie e documenti o chiedere di rilasciare dichiarazioni.

Alessandra Carta

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